La resistibile ma da nessuno contrastata ascesa di R. Pedretti
Qui comincia l’avventura...
Quando questo sito è nato, nel dicembre 2009, l’intestazione recava la scritta “Sito di resistenza alla ventilata candidatura di R. Pedretti al Consiglio della Regione Lombardia”. A febbraio di quest’anno, quando la Lega nord decise di candidare Roberto Pedretti, la scritta d’intestazione venne così mutata: “Sito di doglianza per l’improvvida candidatura di R. Pedretti al Consiglio della Regione Lombardia”. Adesso l’intestazione è quella che vedete. Di nuovo c’è che Pedretti, nel frattempo, dopo essere stato candidato, nonostante l’opera suasoria di Aristide nei confronti della direzione provinciale della Lega nord, è stato eletto: merito della bustina di zucchero pedrettiana (nel senso che chiariremo in seguito) ma – soprattutto – dell’inerzia e dell’insipienza politica dei suoi avversari. O, meglio, di coloro che avrebbero dovuto essere i suoi avversari politici. Quest’elezione di Pedretti non è una bella cosa: certo non per i cittadini di Curno, che sono stati da lui offesi, come abbiamo spiegato in Errare humanum est, ma ancor meno per i cittadini lombardi. I quali hanno bisogno di amministratori di tutt’altra stoffa: amministratori competenti, colti, intellettualmente vivaci, di forte animo generoso. In Pedretti invece troviamo soltanto volontà di potenza condita di retorica territoriale, una rimasticatura di cose sentite dire, francamente insopportabile: un po’ come, in tempi recenti, la retorica della società civile; oppure, in tempi più lontani, la retorica patriottarda dietro la quale si trinceravano i pescecani che facevano profitti di guerra. Nel corso del nostro ragionamento faremo tappa su questi argomenti:
1. Perché l’elezione di Pedretti è stata una iattura 1.1 La famigerata ispezione alla cosiddetta moschea 1.3 Non idoneità alla svolta federalista 3. Demeriti altrui (quarto potere, partiti politici) e meriti propri (di Pedretti) 4. Ma allora, a che cosa serve (o è servito) questo sito? 4. 1 Un altro modo di vedere le cose 4.2 Una questione di principio 4.3 Un modesto esempio per la sinistra
1. Perché l’elezione di Pedretti è stata una iattura
Per non rimandare il lettore da una pagina all’altra di questo sito, dedicato alla fenomenologia pedrettiana – peraltro sintomatica dell’Italia malata – riassumiamo qui di seguito le ragioni per cui l’elezione di Pedretti nel Consiglio regionale dei Lombardi debba essere considerata una iattura.
1.1 La famigerata ispezione alla cosiddetta moschea
Pedretti si è fatto promotore di un’ispezione tecnica nei locali della cosiddetta moschea di Curno, in modalità di provocazione: si veda la Pedretteide, che illustra la genesi della trovata pedrettiana, i suoi tentativi di minimizzare l’accaduto, quando finalmente lui stesso si rese conto della gravità dell’iniziativa, nonché il definitivo scioglimento della questione (pp. 55-56). Stando a quel che si dice, l’ispezione, eseguita con quelle modalità, sarebbe stata considerata dalla comunità islamica di Curno «una bestemmia nei confronti dell’Islam». Date queste premesse, non c’è chi non veda come l’iniziativa di Pedretti, se messa a segno, avrebbe gettato la comunità islamica di Curno, finora pacifica e moderata, nelle braccia degli estremisti. Sarebbe stata una violazione dell’articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (il documento pdf che riportiamo è la trascrizione fedele del testo pubblicato nel sito delle Nazioni unite) e avrebbe sparso il seme della discordia religiosa a Curno. Questa è la colpa (politica) grave, enorme, imperdonabile di Pedretti, a fronte della quale le altre sue colpe (politiche), pur ripugnanti, impallidiscono. Uno così non doveva essere candidato, questo era il passaggio da evitare. Se poi è stato eletto la colpa (politica) non ricade tuttavia sugli elettori, ai quali è pervenuta un’informazione frammentata e per lo più reticente, ma su chi ha taciuto (apparatniki della Lega, frange del Pdl e blocco della cosiddetta sinistra). Ciascuno di costoro aveva le sue pessime ragioni per comportarsi come si è comportato, ragioni riconducibili a insensibilità etica e machiavellismo d’accatto (Pedretti in quel momento attaccava il sindaco, e un sindaco azzoppato faceva gioco ai loro disegni di strateghi periferici). Ma, come vedremo in seguito, i furbacchioni sono poi stati messi nel sacco – tutti – da Pedretti.
1.2 I conigli mediatici
Pedretti finora ha fatto politica con la retorica territoriale (cioè evocando il “territorio” a ogni piè sospinto, a mo’ di mantra politico-religioso) e con i “conigli mediatici”, cioè mettendo in atto stratagemmi di sollecitazione della visibilità mediatica, come quando un prestigiatore estrae dal cappello i suoi conigli: servono a procurargli visibilità, in particolare, sull’Eco di Bergamo che, tra gli organi d’informazione del suo collegio elettorale, detiene un primato indiscusso. Così è avvenuto, per esempio, al tempo delle elezioni politiche amministrative comunali, quando s’inventò il “Gratta e mangia”, al quale abbiamo accennato altrove in questo sito. Così è avvenuto, qualche tempo fa, con l’esposizione sulla facciata del Municipio di Curno, del drappo “Tibet free”, che secondo Pedretti significava “Tibet libero”: grande trovata (mah!), che gli diede modo di discettare sui giornali sulla sua trasversalità linguistica, dal bergamasco all’inglese. Così è avvenuto in vista di queste elezioni regionali, prima con il tentativo famigerato d’ispezione nella cosiddetta moschea, poi con la distribuzione in Consiglio dei crocifissi-gadget finalizzata, secondo lui, alla difesa dell’identità cristiana dell’Europa. Così è avvenuto, infine, al termine di questa campagna elettorale per le elezioni regionali, con la distribuzione di bustine di zucchero. Quante volte non abbiamo sentito fare sarcasmo sulle scarpe distribuite in campagna elettorale dal venerato comandante Lauro! Peraltro questo avveniva in tutt’altro contesto, nella Napoli degli anni ’50. Il contesto rendeva quasi giustificabili quelle scarpe elettorali (la destra prima del voto, quella sinistra dopo il voto). Ma oggi, qui in Lombardia, è mai possibile che nessuno, neanche l’opposizione, abbia avuto niente da dire sulle bustine di zucchero di Pedretti?
1.3 Non idoneità alla svolta federalista
Come abbiamo scritto in altra parte di questo sito, c’è oggi «la possibilità di varare, finalmente, un federalismo serio. Perciò si ha bisogno di rappresentanti preparati, allorché la Lombardia dovrà intrattenere rapporti diretti con le altre macroregioni d’Europa. La Lombardia potrà presentarsi a testa alta se i suoi rappresentanti saranno all’altezza del compito assegnato, uomini che (per esempio) conoscano le lingue, uomini che abbiano esperienza e cultura industriale, possibilmente innestata su una base umanistica, uomini consapevoli del ruolo storico della Lombardia, sia quello passato (con la conversione del capitale fondiario in capitale industriale, seguita dall’alleanza con l’industria svizzera e quella tedesca), sia dell’auspicato ruolo futuro, propulsivo per lo sviluppo morale, sociale ed economico di tutta l’Italia. Uomini che sappiano far calare la superbia a certi personaggi europei, i quali pretendono che gli italiani, lombardi compresi, siano tutti mangiaspaghetti. Uomini capaci di orientarsi sul terreno infido delle mistificazioni burocratiche e tecnocratiche, senza complessi di inferiorità, ma anche senza iattanza, intellettualmente versatili, capaci di riconoscere le proprie lacune e colmarle – all’uopo – in tempi brevi. Uomini che non si facciano mettere nel sacco dal primo bocconiano che biascica formulette anglo-manageriali». Ora, se leggiamo la storia di Pedretti, se prestiamo attenzione alle cose che scrive, se ascoltiamo le sue parole barbugliate e i suoi periodi anacolutici inframmezzati di borborigmi incomprensibili, c’è qualcuno che possa pensare a un contributo positivo da parte del Pedretti? O non sarà invece una zavorra? D’altra parte a Pedretti finora è andata bene così: con i suoi borborigmi, con i conigli mediatici, con la bustina di zucchero (nel senso che sarà chiarito in seguito): perché mai dovrebbe cambiare? E, soprattutto: è mai possibile che possa cambiare?
Pedretti unfit to represent people who actually workPedretti sembra fatto apposta per allontanare dalla Lega la schiera, sempre più numerosa, di cittadini delusi dalla sinistra, e che perciò sarebbero del tutto naturalmente portati a riconoscersi nella Lega nord. Se ne deduce che il Pedretti e, più ancora, la sua strategia mediatica di apparire a tutti i costi, è in contrasto con l’interesse e la vocazione della Lega nord. Pedretti, che in una seduta del Consiglio comunale di Curno ha proclamato «La Lega sono io!» (si veda la Pedretteide) in realtà è una caricatura della Lega, la personificazione di una concezione tribale della politica che la Lega Nord non può permettersi, in contraddizione con il ruolo che ha assunto e con le nuove responsabilità che sta per assumere. Segue di qui che meno uno come Pedretti si fa vedere in giro, meglio è per la Lega nord. In un’ipotesi cinica, invece, l’apparire ossessivo del Pedretti può giovare alla cosiddetta sinistra. Ma solo in un’ipotesi cinica. Molti, moltissimi, sono i cittadini che aderiscono alla Lega per la sua connotazione di classe, per il suo essere il partito degl’italiani che lavorano: il partito degli operai, degli artigiani e dei lavoratori autonomi; il partito dei professori che insegnano latino, italiano o matematica e che sanno effettivamente di latino, italiano o matematica e vorrebbero superare un regolare concorso, un concorso difficile, per vedere stabilizzato il loro ruolo autorevolmente e di là dalle manfrine sindacali, oltre tutto con enorme vantaggio per la scuola italiana; il partito degl’impiegati che – lungi dall’essere contenti dei diritti sindacali che mettono sullo stesso piano chi è laborioso e chi è ignavo, chi sa cavarsi d’impaccio e chi si fa schiavo delle procedure premasticate – vorrebbero fare lavori utili e intelligenti, nella prospettiva di potersi un giorno mettere in proprio. Un partito di uomini e donne dalla mente sgombra, di intelligenza pronta e dotati di spirito d’avventura. Invece il Pedretti che cosa fa? Si accredita come leader carismatico. Cioè si pone su un piano di superiorità rispetto ai cittadini che sono il sugo e il sangue dell’Italia che vuol rinascere. Ma è possibile? Non si mette con tutta l’umiltà possibile al servizio dei cittadini, non risolve i problemi, ma ne crea di nuovi, come nel caso della cosiddetta moschea di Curno. Già, questo rientra nella sua strategia di scalata politica e sociale. Ma perché i cittadini di qualità, la speranza dell’Italia, dovrebbero votare per un furbetto come Pedretti? Questi cittadini possono chiudere un occhio davanti agli elmi cornuti ostentati nel tripudio di Pontida, possono svicolare dai riti druidici, possono defilarsi dalle pompe al seguito delle ampolle del dio Erídano. Ma non possono certo sopportare un Pedretti carismatico. Gli operai, gli artigiani, i lavoratori autonomi, gli impiegati che non remano contro, gli insegnanti che sono al servizio della scuola non hanno niente da imparare da Pedretti, che semmai è un esempio da evitare. I cittadini di Curno, i lombardi tutti, uno come Pedretti come loro rappresentante non lo sopporterebbero proprio. Scrisse il settimanale The Economist che Berlusconi è “unfit to lead Italy”, cioè Berlusconi non è idoneo a guidare l’Italia. Senza entrare nel merito di quella polemica, ci sia concesso affermare che Pedretti non è idoneo a rappresentare gl’italiani che lavorano e che si rivolgono alla Lega nella speranza di un futuro migliore, basato sulla valorizzazione dell’intelligenza e della capacità dei singoli. Le scuse chieste da Franceschini ai lavoratori autonomi, quattro giorni prima delle primarie del suo partito, lasciano il tempo che trovano. Il pragmatismo della Lega, il suo prescindere dagl’interessi di gruppi industriali e di corporazioni incistate nella gestione dello Stato, il suo rivoluzionario sistema di alternanza dei rappresentanti politici nelle cariche di potere, sono alcuni dei fattori del suo successo. Ma è importante che tra le maglie della selezione del suo gruppo dirigente non passino avventuristi piccolo-borghesi come il Pedretti.
2. Analisi del voto
Pedretti ha vinto perché si voleva che vincesse. D’altra parte, com’è noto, il sistema elettorale prevede che i candidati siano designati dai partiti. I quali, com’è nel loro diritto (perlomeno finché nessuno glielo impedisce reclamando, per esempio, elezioni primarie), hanno una concezione autocratica del potere. Ed è così che Pedretti è stato candidato: non è andato dagli elettori o nelle assemblee di partito a domandare che cosa pensassero della sua candidatura. Gli è bastato convincere le persone che contano nel partito. Come? Evidentemente, aveva argomenti convincenti. Gli elettori della Lega l’hanno votato, anche perché la maggior parte di loro ben poco sapeva di Pedretti, a parte quel che avevano letto nelle bustine di zucchero e a parte le promesse elettorali. Converrete con me che altro è se le gesta di Pedretti sono illustrate nella Pedretteide pubblicata in questo sito, altro se sono presentate sull’Eco di Bergamo, nella loro giusta rilevanza, nella cornice autorevole di tanto giornale. Purtroppo però il giornale orobico, forse per mancanza di spazio, è stato reticente sull’argomento: si veda in proposito il paragrafo seguente. Gli elettori della Lega non sono stati informati. Infatti, come si può pensare che a Curno potessero arrivare a Pedretti 335 voti di preferenza, se gli elettori fossero stati edotti del tentativo di blitz alla cosiddetta moschea e della ricaduta negativa sulle loro teste? Si veda in proposito l’articolo Errare humanum est. Certo, qualcosa deve essere arrivato alle orecchie dei cittadini di Curno, agli stessi leghisti. Infatti fra coloro che a Curno hanno votato per la Lega (1180), soltanto 335, cioè il 28% hanno dato la preferenza a Pedretti. Se confrontiamo le preferenze di Pedretti a Curno con quelle di Frosio e Suardi nei loro paesi di riferimento (Sant’Omobono T. e Romano di Lombardia), vediamo che le preferenze ricevute da costoro, nel loro paese, sono il 73% e il 40%, rispettivamente, dei voti andati alla Lega nord. Dunque, i leghisti di Curno non hanno votato plebiscitariamente per Pedretti: almeno questo! Ma quelle 335 preferenze a Pedretti sono pur sempre troppe, rispetto a quello che sarebbero state se i cittadini avessero saputo.
3. Demeriti altrui (quarto potere, partiti politici) e meriti propri (di Pedretti)
La nostra tesi è che se Pedretti è riuscito a sedersi nel Consiglio regionale dei Lombardi, ciò è avvenuto, più che per merito proprio, per demerito altrui, di coloro cioè che, pur sapendo, hanno preferito tacere. Di suo Pedretti ha messo la bustina di zucchero (nel senso che chiariremo in seguito).
3.1 L’Eco di Bergamo
Avviene – ma forse questo è soltanto un caso – che quando si tratta di Pedretti, L’Eco di Bergamo dica troppo, oppure che dica troppo poco. Dice troppo quando fa eco ai suoi “conigli mediatici”, quando cioè dà rilievo alle sue trovate elettorali (per esempio, i crocifissi-gadget) o anche a quei giochi di prestigio escogitati negli intervalli tra una tornata elettorale e l’altra, così, tanto per gradire (come il famigerato “Tibet free”). Si dirà che il giornale ha ottemperato a un dovere di cronaca. Va bene, sarà anche così, ma est modus in rebus. Dice troppo poco, L’Eco di Bergamo, quando invece si tratta di dare il resoconto di un fatto grave come la progettata ispezione alla cosiddetta moschea di Curno. O quando si tratta di rendere edotti i cittadini dell’epilogo della vicenda. La giornalista era presente in aula consiliare il 29 dicembre 2009, quando il sindaco lesse una dichiarazione sottoscritta da un pubblico ufficiale, che inchiodava Pedretti alle sue responsabilità, ma i lettori del giornale non ne seppero niente, né allora, né mai. Senza contare che l’Eco di Bergamo ci ha abituato ad ampi resoconti sulle cose notevoli di Curno, come del resto è giusto, data la parentela geografica ed economica di Curno con la città-madre. Per esempio, L’Eco di Bergamo dedicò un’intera paginata, in due occasioni diverse, a due progetti d’intervento edilizio a Curno che, fra l’altro, non avevano avuto il benestare del Comune e che non l’hanno ancora avuto, così ci pare di capire: si tratta del progetto Porta ovest dell’architetto Botta (si veda il compendio dell’articolo del 14 marzo 2009, nel sito del giornale) e della cosiddetta Domus levissima (si veda il compendio dell’articolo del 17 febbraio 2010). Ora, noi non arriveremmo mai a pretendere una paginata sull’affaire della cosiddetta moschea, sia perché abbiamo l’abitudine di non pretendere mai nulla, sia perché ci rendiamo conto che quello era un tema delicato, c’erano risvolti di ordine pubblico. Ma perché minimizzare le responsabilità di Pedretti, anche dopo che le acque si sono calmate, tanto più che non sarebbero mancate le occasioni, e che lo stesso Pedretti rivoltava il coltello nella piaga? Si veda l’articolo del 18 dicembre, dove Pedretti ha agio di spiegare che il suo «interessamento alla questione era più che legittimo». Peccato che la questione fosse tutt’altra. Manca invece, come si è detto, il resoconto dell’epilogo di quella vicenda in Consiglio comunale. Si vedano in questo sito, in merito alle vicende della c.d. moschea, i due articoli Scuola di giornalismo / 1 e Scuola di giornalismo / 2.
3.2 I partiti politici
Lega - La Segreteria provinciale della Lega nord ha sostenuto la candidatura di Pedretti, pur essendo a conoscenza dei fatti (l’ispezione ecc.: si veda Appello ai politici della bergamasca), laddove – proprio per questo – avrebbe dovuto fare esattamente il contrario. Il popolo di Curno, stordito dalle bustine di zucchero, è stato dunque ingannato, prima ancora che da Pedretti, da chi ha minimizzato e messo a tacere i fatti. Pedretti non andava candidato. Adesso che è consigliere regionale pretende di essere il dominus della Lega nord a Curno. Se Donizetti e Fassi saranno emarginati dal partito (si parla, tanto per gradire, di una loro possibile espulsione dal gruppo consiliare della Lega nord: si veda il ta-tze-bao affisso alla vetrina del Pd di Curno, il 18 aprile 2010), sappiamo bene da che parte vengono le bordate. Naturalmente, l’espulsione così com’è stata architettata da Pedretti è irrituale e destituita di fondamento, infatti Donizetti e Fassi non sono stati espulsi dal partito, perlomeno non ancora: vuol dire allora che s’inventerà qualcos’altro. Per esempio, farà di tutto perché da Bergamo arrivi, su sua indicazione, l’ordine di espulsione dal partito, che dovrebbe validare retroattivamente l’espulsione dal gruppo consiliare.[1] Pedretti vorrebbe darci a intendere che lui è furbo, in realtà è solo un uomo di panza. Ricordate la favola? Superior stabat lupus… In sostanza ha sempre ragione lui, conta soltanto la sua volontà di potenza, in spregio agli interessi dei curnensi e – in primis – della Lega nord di Curno. Succede questo perché chi doveva contrastarlo si è defilato, e continua a defilarsi, con la coda fra le gambe. È desolante. Pdl - Il popolo di Curno è stato tenuto in non cale dal PdL, perché i suoi rappresentanti locali erano troppo occupati a trovare una “quadra” (per dirla nel linguaggio di Bossi) tutta loro, considerato che sono divisi nelle due anime pagnoncelliana e saffiotiana. Soprattutto, sono lacerati da diverse valutazioni sulla politica dei suoli e delle concessioni edilizie. Perciò hanno taciuto sull’esecrabile ispezione progettata da Pedretti, perché avevano ben altro cui pensare. Poiché Pedretti, in quel momento, rilasciava dichiarazioni tonanti contro il sindaco, pensarono che l’azzoppamento del sindaco potesse tornare a proprio vantaggio, ciascuno pro sua virili parte. Beh, almeno loro non si sono mai date arie di “eticisti” («Se dice que una persona es eticista cuando aplica los principios éticos que determinan la materia que trata.»). Comunque, quanto sia stato pagante questo “machiavello” da parte di siffatti ministri coordinati (o scoordinati?) da un cardinale Mazarino in sedicesimo, è sotto gli occhi di tutti: basta considerare la batosta elettorale. Blocco cosiddetto progressista - Il popolo di Curno è stato calpestato, oltre che ingannato, soprattutto dallo scombinato fronte c.d. progressista, i cui esponenti periferici sono venuti meno agli stessi ideali dei quali si ammantano, quelli per cui sarebbero “antropologicamente superiori”, quelli per cui d’abitudine firmano manifesti e celebrano inutili convegni. Anche loro, come il PdL, hanno voluto essere “machiavellici”: il risultato di tanta callidità si è visto, anche in questo caso, allo spoglio delle schede elettorali. In particolare, hanno pensato che tenendo – di fatto – bordone a Pedretti avrebbero facilitato la capitolazione del sindaco, dalla quale si ripromettevano un ritorno immediato al potere. Beh, hanno sbagliato a fare i conti, come si è visto, e hanno gettato sulla sinistra una cappa di vergogna che non c’è convegno o conferenza sull’etica da loro organizzata che possa toglier loro di dosso. Nando dalla Chiesa terrà a Curno il 12 maggio una conferenza sull’attuale crisi politica, conferenza che immaginiamo sarà improntata a forte e indignato sentire etico: ebbene, sarebbe questa l’occasione ideale per ricordare ai nostri “progressisti” che l’etica bisogna viverla, anziché fabularla (cioè, parlarne oziosamente) e che, poiché Pedretti intendeva agire contro i diritti dell’uomo, i progressisti veri, non di apparato, avrebbero dovuto far sentire la propria voce, alta, chiara e distinta. Bisognava anche fare qualcosa perché Pedretti non fosse eletto. La cosiddetta sinistra di Curno poteva contrastarne l’elezione, se avesse voluto, ma non ha fatto niente. È proprio sul piano etico che hanno perso ogni credibilità, come si argomenta in seguito, al § 4.3.
Così stando le cose, se cioè a Bergamo gli apparatniki della Lega hanno temuto l’effetto del componente segreto della bustina di zucchero (per cui si veda, infra, § 3.3, ultimo punto), se i membri del Parlamento di Curno in quota PdL, sotto la guida del loro improbabile cardinale Mazarino hanno nascosto la testa nella sabbia, se a Curno i cosiddetti progressisti hanno svenduto gli ideali in vista di un’impossibile presa di potere, per Pedretti metterli nel sacco è stato un gioco da ragazzi. Avete voluto fare i furbi? Credevate di essere il cardinale Alberoni, Richelieu, Mazarino? Beh, il Pedretti ve lo siete voluto: adesso subite!
3.3 La bustina di zucchero
Dicevamo che Pedretti ha vinto la competizione elettorale più per demerito altrui, di coloro che sapevano e che hanno preferito tacere, che per merito proprio. E che di suo lui ci ha messo, semmai, la bustina di zucchero. La quale va intesa non solo come il gadget promozionale da ingurgitare (vedi foto accanto) da lui a piene mani distribuito in campagna elettorale, ma in senso lato. In questo discorso, s’intende per “bustina di zucchero” l’edulcorante che Pedretti sparge su alcuni aspetti del suo operato che di per sé avrebbero sapore tutt’altro che dolce. Grazie alla bustina di zucchero Pedretti ha compiuto il miracolo di rendere accettabile l’amarognolo del “Gratta e mangia”, di coprire l’amaro dei crocifissi-gadget, di mascherare il sapore aspro e assolutamente ingrato dell’ispezione alla cosiddetta moschea. Tra gli ingredienti della bustina di zucchero di Pedretti ricordiamo i seguenti:
· Roberto Pedretti è figlio di uno dei padri nobili della Lega nord e di Bergamo: un artigiano e un militante storico del Carroccio, che ricevette dalle mani di Bossi la tessera d’oro del partito (v. L’Eco di Bergamo, 31 marzo 2010). Al tempo dei primi vagiti della sua vita politica, si è avvantaggiato delle relazioni e del rispetto dei quali godeva il padre. Qualcuno dirà che ha usato il marchio di famiglia e che così fan tutti, quando possono (Tructa docet: riguardo al Trota, lat. tructa, si veda anche il punto successivo). Giusto: ma chi afferma il contrario? · Roberto Pedretti è stato contubernale a Curno di Renzo “Trota” Bossi, la trota destinata a diventare un magnifico delfino (il termine “contubernale” è qui adoprato nel senso chiarito dalla nota 1 dell’articolo Errare humanum est, in questo sito). · Roberto Pedretti è «molto vicino a Calderoli», per usare le parole del blog della Sezione di Bergamo della Lega nord. · Roberto Pedretti ha estratto conigli mediatici dal suo cappello di prestigiatore tali da procurargli (per quanto discutibili, come abbiamo visto sopra) la simpatia della stampa locale, sempre alla ricerca della notizia stravagante. La buona stampa di cui gode Pedretti non si spiega altrimenti (altrimenti, come?). · L’ultimo ingrediente della bustina, quello segreto, è una sostanza paralizzante, volatile (nel senso che evapora) a temperatura ambiente, tale da creare una sorta di fluido invisibile, incolore e inodoro, nell’intorno delle aree asperse dal Pedretti. Il suo potere è tale che quelli che dicono di essere i suoi nemici, quando si arriva al dunque, tacciono e si ritirano in buon ordine. In particolare, quando si è trattato di fare qualcosa di concreto per contrastare la pur resistibile ascesa di Pedretti nel corso della campagna elettorale, coloro che naturaliter avrebbero dovuto essere i suoi avversari politici, o i suoi concorrenti nei partiti alleati, e che apparentemente avrebbero avuto tutto l’interesse a contrastarlo, sono rimasti come pietrificati e terrorizzati. Grazie alla bustina di zucchero, preparata, chissà, da una maga celtica in qualche raduno druidico, Pedretti diventa come la Medusa dallo sguardo pietrificante, quella della mitologia greca. Pare che l’unico immune dagli effetti pietrificanti del fluido pedrettiano sia stato Aristide che impavidamente (o forse temerariamente, come pure si disse) solleva il capo e sfida le forze occulte evocate da Pedretti: si veda la Pedretteide, p. 52.
4. Ma allora, a che cosa serve (o è servito) questo sito?
Qualcuno dirà (già mi pare di sentirlo): va bene, avrai anche ragione tu, ma non vedi che questo sito in fin dei conti non è servito a niente? Sarà bello quanto vuoi, scritto bene, doviziosamente illustrato, ricco di dottrina, tale insomma che ogni uomo politico di Lombardia dovrebbe quasi invidiare il Pedretti che – almeno lui – ha un sito decente, ancorché a lui avverso. Però lui non soltanto è stato candidato, è stato perfino eletto. La risposta a questa obiezione si trova qui sotto, §§ 4.1-4.2. D’altra parte fin da principio, quando prendemmo la decisione di combattere questa battaglia, si era scritto (Pedretteide, p. 8): «Di solito si combatte per vincere. Ma certe battaglie, come questa contro l’avventurista Pedretti, sono belle e nobili di per sé: e poco importa, se si vince o si perde».
4. 1 Un altro modo di vedere le cose
D’accordo, questo sito è inutile in una visione aziendalistica delle cose o anche alla luce dei dogmi della politica politicante. Ma non è stato inutile dal punto di vista di Aristide. O, meglio: sarà anche stato inutile, ma chi ha detto che l’utile debba essere la bussola del nostro vivere? Abbiamo un’altra concezione della vita e del vivere bene (dell’arte bene beateque vivendi, secondo Cicerone). E non è vero che siamo in pochi, questo è quel che si vorrebbe far credere. Solo che, diversamente dagli animali inferiori nella savana, noi eticamente antiutilitaristi non abbiamo l’abitudine di far branco, o stormo, o colonia. E, in ogni caso, pochi o molti che siamo, che importa? Siamo uomini liberi, felici di possedere un animo imperturbabile agli allettamenti degli “idoli” dei quali scrisse Bacone. Sono gli idoli, secondo il filosofo inglese, quelli che ci impongono di essere non quello che vogliamo e possiamo essere, ma quello che vogliono certe convenzioni, che sono altro da noi, e che in realtà sono costrizioni. (Qui sembra quasi di sentire Pirandello.) Tra i vari idoli che pretendono di metterci le briglie al collo, particolarmente insidiosi sono gli idòla tribus, gli “idoli tribali”, ai quali sono riducibili i condizionamenti sociali (“devi far carriera!”) e gli idòla theatri, gli “idoli del teatro”, ai quali sono riducibili i condizionamenti ideologici, per non parlare dei riti della politichetta (“adesso, mi raccomando, è il momento della territorialità!”). Ma che c’importa degli idòla tribus, o degli idòla theatri o anche degli idòla fori (sono quelli che ci imporrebbero di parlare politicamente corretto)? Questo sito sarà anche stato inutile dal punto di vista del risultato pratico, che sarebbe poi la non-elezione di Pedretti, tuttavia non potevamo non farlo. Per noi era una questione di principio. Sapevamo infatti chi fosse Pedretti, sapevamo che cosa avesse progettato di fare. E tanto ci bastava.
4.2 Una questione di principio
Abbiamo avuto la fortuna di capire l’importanza delle “questioni di principio”, io e alcuni amici, tanti anni fa, all’ultimo anno del liceo. Avevamo in tasca la tessera di un cineclub universitario che s’intitolava “Libera associazione universitaria” e che, naturalmente, proprio perché si chiamava così, non era libera: era un’associazione del Pci. Ma gli uomini della sinistra, allora, non erano servi di Carlo De Benedetti o di Luca Cordero di Montezemolo. Inoltre fra loro c’erano fior d’intellettuali, uomini veri, mica i damerini di adesso. I film, che scorrevano fra le bobine di un rumoroso proiettore sonoro 16 mm – modello semiprofessionale, ideale per associazioni culturali –, di solito ci venivano illustrati da Pio Baldelli, che poi avrebbe scritto parecchio sul cinema e sulle comunicazioni di massa. Bene, tra questi film, oltre La terra trema di Visconti, l’immancabile Corazzata di Potëmkin di Ejzenštejn (stupendo, altro che “cagata pazzesca”!) e il bellissimo Aleksandr Nevskij, pure di Ejzenštejn, c’era un film cèco (allora si diceva “cecoslovacco”), che fu per noi bildungsroman, un “romanzo di formazione”: ovviamente, sotto l’egida della decima musa. Il film, che è del 1959, s’intitolava Il principio superiore. Questa è la trama:
Siamo nel 1942 a Kostelec, città del Protettorato di Boemia e Moravia (parte della ex Cecoslovacchia) occupata dalle armate naziste. I collaborazionisti cechi irrompono nella classe viii del liceo (l’ultima del corso di studi), nell’ora del compito in classe, per arrestare i tre membri di una “cospirazione”, consistita nella caricatura di Reinhard Heydrich, potente governatore del Protettorato di Boemia e Moravia, ucciso da esponenti della resistenza antinazista. Il professor Malek, professore di latino, fino a quel momento vissuto tra i libri, si trova ad affrontare un caso concreto, l’arresto dei suoi studenti, alla luce del suo “principio superiore”: quello che gli deriva dalla lettura di Seneca e di Tacito. Non per niente gli studenti lo chiamano, da sempre, “Signor principio superiore”. Aveva l’abitudine di ripetere che le nostre azioni devono avere come fermo riferimento i principi morali “superiori”, i quali sono tali in quanto prevalgono su ogni altra considerazione, perché la loro autorità discende dalla natura stessa. In breve, i collaborazionisti prendono in consegna i tre “cospiratori”. Il prof. Malek si reca dal comandante della Gestapo, che promette l’imminente liberazione dei ragazzi. L’ufficiale non mantiene la parola, i ragazzi saranno fucilati. Nella scena finale del film il professore ha il compito di illustrare alla classe l’accaduto. Lo fa alla luce del “suo” principio superiore, denunciando la ferocia nazista. Il film non racconta il seguito, ma non è necessario: è evidente che il buono e onesto e veramente sapiente professore (perché la coerenza è la virtù dei sapienti) pagherà caro il prezzo della sua fedeltà al principio superiore. Il discorso sarà trascritto nel registro di classe.
Ne presento qui sotto uno spezzone, anche se i dialoghi sono in cèco: ma, se si è letta la trama, non è difficile capire che cosa possa dire il professore. Le immagini, come avviene sovente nei buoni film, e come insegna Hitchcock, sono eloquenti come e più delle parole. Spero di procurare uno spezzone sottotitolato: ne ho parlato con un amico, che mi ha promesso di fare qualcosa.
P.S. - Ho finalmente procurato (giugno 2010) una copia sottotitolata del film e ho realizzato un montaggio un po’ più ampio di quello presentato qui sopra, al quale ho aggiunto una sceneggiatura ricostruita ex post. Il nuovo spezzone e la sceneggiatura possono essere visti in una pagina a parte di questo sito: si veda Il principio superiore.
4.3 Un modesto esempio per la sinistra
Oltre che per una questione di principio, abbiamo approntato questo sito per mostrare ai signori della cosiddetta sinistra, perlomeno quella di Curno, che si può fare qualcosa di sinistra, senza nemmeno correre troppi rischi. (Nutriamo comunque il sospetto che – ahinoi – anche fuori di Curno la cosiddetta sinistra non sia granché migliore. A suo tempo Veltroni aveva promesso di andare in Africa, perché queste sparate “fanno immagine”. Invece è sempre qui, sta preparando la sua vendetta contro il povero Bersani, come un Pedretti qualsiasi.) Denunciando l’enormità del gesto di Pedretti, non nel senso di “sporgere querela”, ma nel senso di “annunciare in maniera palese” e ragionando sul significato di quel gesto, nonché sul silenzio assordante – come si dice – che gli ha fatto eco, abbiamo agito nel modo in cui ci si aspetterebbe che agisse la sinistra. Perlomeno, una sinistra che non fosse soltanto sinistra di potere. Se la sinistra fosse quella di una volta, con la sua gerarchia di valori, la sua ortodossia e tanto di commissario politico, ci sarebbe di che mettere sotto accusa la rappresentanza di Curno. Inoltre questo sito dovrebbe fornire materia di riflessione alla giornalista che ha seguito le vicende di Curno per conto dell’Eco di Bergamo, e non soltanto riguardo a quel che si è detto nei due articoli Scuola di giornalismo / 1 e Scuola di giornalismo / 2. Ci rivolgiamo non alla giornalista, ma alla militante di sinistra (se ci è concesso: “mi consenta!”, così direbbe l’Innominato). Lo diciamo senza ironia: fummo anche noi militanti di sinistra, finché a sinistra non si vergognarono di essere tali, preferendo blaterare di “società civile”, o giù di lì. In quanto militante la giornalista, per esempio, ha firmato un manifesto che deplorava l’arresto di un giovane ricercatore triestino il quale, recatosi a Copenhagen in occasione di un vertice internazionale sul clima (il cosiddetto “Summit” del dicembre 2009), fu trattenuto in stato di fermo con l’accusa di tentata violenza: si veda l’articolo sul Corriere della Sera. In seguito, dopo venti giorni, fu assolto e scarcerato. Riguardo al manifesto, niente di male, naturalmente: la giornalista è libera di firmare tutti i manifesti che vuole. Diamo anche per scontato che ci fossero tutte le buone ragioni di questo mondo per firmare quel manifesto, tanto più che il ricercatore è stato poi assolto, dunque la presunzione d’innocenza era fondata. Ma il punto non è questo. Il punto è che quel ricercatore è triestino e che Trieste dista da Bergamo 363 km; inoltre l’evento è localizzato a Copenhagen, che dista 1511 km da Bergamo. È singolare che la stessa giornalista, nonché militante “de sinistra”, non si accorga del fatto che il Pedretti si è fatto promotore di quella maledetta ispezione, un’azione che tutto fa pensare in contrasto con il «diritto alla libertà di religione, compresa la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, la propria religione» sancito dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Eppure il gesto di Pedretti (che non ha fatto l’ispezione da lui programmata in forma di provocazione, ma ha chiesto che si facesse) si verificava a 5,6 km dalla redazione del giornale in cui la giornalista lavora: si veda la cartina qui accanto. Inoltre la giornalista si occupa professionalmente di Curno. È a conoscenza del gesto di Pedretti. Ora com’è che lei, militante di sinistra, non si è indignata per il gesto di Pedretti? Nel manifesto che la giornalista ha firmato si parla dello stato di fermo del ricercatore triestino come di una «sospensione dello stato di diritto […] insopportabile per tutti noi». Forse che un’azione in contrasto con l’articolo 18 della dichiarazione dei diritti dell’uomo è cosa più sopportabile? Infine, com’è che Aristide, un privato cittadino senza Dio, né patria, né padrone, ha avuto il coraggio di sfidare il nume di Pedretti, questo bau-bau da tutti temuto (chissà poi perché?), mentre colei che ha il conforto di militare nella schiera compatta e numerosa del popolo della sinistra ha preferito tacere sui diritti universali violati?
Il lettore che ci ha benevolmente seguito fin qui avrà ormai capito perché non potevamo tacere. Tra l’andare a sentire una conferenza di Stefano Rodotà o di Nando dalla Chiesa sull’etica e l’agire eticamente, abbiamo scelto la seconda via, in spregio all’utilità: la quale può essere norma di vita per aziendalisti e politicanti, ma non per chi ha sentito la lieta novella. Mi viene in mente Ignazio Silone che, in una pagina del suo Uscita di sicurezza, spiega com’è che lui, da ragazzo, sia divenuto socialista: semplicemente, perché quello era il modo più naturale di essere cristiani. Ora, il criterio di utilità non è da scartare in assoluto, purché rimanga confinato negli ambiti che gli sono propri, per esempio in quello aziendale. Vero è che facendo dell’utilità un fine di vita, tutta una genia di “perduta gente” ha trovato il suo tornaconto in termini di ricchezza e di potere. Perciò noi che la pensiamo diversamente, e che in conseguenza di ciò abbiamo talvolta vissuto momenti di vita difficile, abbiamo tutto il diritto di disprezzare questa genia di uomini. Ci arroghiamo questo diritto a compensazione del danno materiale subito: anche se, me ne rendo conto, questo atteggiamento è poco cristiano. C’è addirittura il rischio di finire all’inferno, insieme a Capaneo (Dante, Inferno, xiv: la colpa da scontare è quella di ribellione al dio dell’utilità). A ben pensarci, tuttavia, è possibile che, nel redigere questo sito, anche a noi sia venuto – nonostante tutto – un briciolo di utilità (intenzionalmente, o preterintenzionalmente? Chissà!). Nel senso che abbiamo pasciuto il nostro orgoglio (roba disdicevole, lo so, e forse anche poco democratica, roba da hidalgo). Abbiamo inoltre perfezionato la nostra tranquilla disposizione d’animo, che poi è quella cosa che tanti uomini cercano vanamente prodigandosi in mille attività, feste e viaggi senza senso. Ma – afferma Orazio – caelum non animum mutant qui trans mare currunt. (Volevo omettere la traduzione e scrivere con una punta di malizia antipedrettiana: “Per la traduzione, si veda Wikipedia”. Ho controllato Wikipedia: la traduzione è un disastro. Orazio non parlava dei naviganti, ma di coloro che, sempre agitati, si sbattono per ogni dove, nella vana speranza di porre un freno all’ansia che li travolge. Intendiamo dunque così: “Cambiano il cielo, cioè le coordinate geografiche, non la propria disposizione d’animo, coloro che corrono per il mare da una parte all’altra”.)
25 aprile 2010
[1] Scriviamo queste righe il 25 aprile 2010, la questione è ancora sub judice. Già, ma quale giudice? È sempre lui, il Pedretti, che se la canta e se la suona. Non è chiaro, invece, quale sia il ruolo dell’apparatniki di Bergamo.
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