Il 29 dicembre dell’anno appena trascorso
si è tenuta a Curno una riunione del Consiglio comunale,
obiettivamente molto importante. Anche alla luce di quanto è scritto
nella nostra Pedretteide. Eppure l’Eco di Bergamo, che
ha sempre dato notizia di tutte le precedenti riunioni, questa volta
tace. Il giornale tace anche se la giornalista che da qualche tempo
segue le cronache di Curno era presente nella sala consiliare,
proprio come le altre volte. Vorrà dire che adesso è in vacanza
oppure – quod Deus avertat! – che è malata.
Poiché il giornale tace, vi diciamo noi
che cosa è successo in quella riunione di Consiglio. All’ordine del
giorno c’erano alcune cosucce più o meno importanti (noi non ci
pronunziamo, giudichino coloro che sono addentro agli arcana
imperii). Dopo quelle cosucce ci fu una comunicazione del
sindaco, la quale tutto si può dire tranne che irrilevante, anche
sotto il profilo giornalistico. Infatti, il sindaco ha posto fine
alla polemica, che si trascinava ormai da due mesi, riguardo alla
questione della cosiddetta moschea di Curno.
Bisognava dare una risposta al quesito:
Pedretti ha veramente architettato un’ispezione nel luogo e nell’ora
in cui gl’islamici si riuniscono per la preghiera, come il sindaco
affermò nel mese di ottobre? Per questo – ricordiamo – Pedretti fu
destituito dalla carica di vicesindaco, per questo gli furono
ritirate le deleghe: per manifesta e duplice empietà, nei confronti
sia degl’islamici in preghiera, sia dei curnensi che potevano essere
trascinati in una guerra di religione. L’ex vicesindaco aveva finora
minimizzato o anche negato le sue responsabilità. Anzi, aveva
rilanciato, affermando che le deleghe gli erano state levate per ben
altro, come si dice. Aveva lasciato intendere che il sindaco
coprisse certi affarucci immobiliari che solitamente ripugnano alla
sua, di Pedretti, cristallina integrità morale. L’opposizione si
dichiarerà più volte d’accordo con questa impostazione difensiva di
Pedretti. Arriverà a dire che Pedretti è un “capro espiatorio”.
Bene, la notizia è questa: nel corso
dell’ultima seduta di Consiglio comunale abbiamo udito con le nostre
orecchie che è agli atti la prova di tale macchinazione. C’è la
deposizione di un pubblico ufficiale. Dunque la macchinazione c’è
stata, contrariamente a quanto Pedretti e i suoi ascari affermavano
(vedi la Pedretteide). Carta canta: «l’intervento era stato
richiesto sollecitamente dall’assessore Pedretti, che sarebbe voluto
essere presente durante il sopralluogo». A seguito della rivelazione
di questa prova, Pedretti intimò in Consiglio comunale – udite,
udite! – che la questione doveva considerarsi chiusa. Comodo, vero?
Pedretti pretende ancora di “fare lo sceriffo” (per usare una felice
espressione della dott.ssa Perlita Serra), anche adesso che è un
semplice consigliere, per giunta sotto osservazione da parte del suo
stesso partito.
La comunicazione del
sindaco è rilevante per due ragioni:
a) l’onore del sindaco, infangato dagli schizzi allusivi congiunti
del Pedretti e dell’opposizione, è salvo; b) la lettura del
documento (procrastinata dal sindaco per motivi di opportunità
politica e di ordine pubblico, ma sollecitata da Aristide, di
temperamento manifestamente irrequieto) pone termine a una polemica
che si trascinava da due mesi. Spiace che sull’Eco di Bergamo,
che pure ha dato notizia di quella polemica a più riprese, non si
siano accorti della rilevanza della notizia. Eppure:
a) quando Pedretti distribuì i crocifissi a
mo’ di gadget promozionali, il giornale diede ampio risalto a
quell’iniziativa di misera blasfemia paesana, che l’ambizioso uomo
politico curnense aveva architettato per spostare l’attenzione dal
fattaccio della cosiddetta moschea, oltre che per dimostrare ai
vertici del partito che la sua candidatura al Consiglio regionale
della Lombardia sarebbe stato un ottimo investimento: infatti lui,
lui sì, lui sa come si tengono in pugno i giornalisti;
b) quando Pedretti, dopo la verifica
burocratica degli uffici del Comune, “scoprì” quel ch’egli sapeva
benissimo, che cioè i locali adibiti al culto settimanale non
avevano il cosiddetto certificato di agibilità, l’Eco di Bergamo diede
risalto alla notizia di quest’ultima sua trovata. La quale non
dimostrava niente riguardo alla legittimità della precedente
iniziativa di ispezione, quella di ottobre, con modalità di
provocazione: ma, nella confezione giornalistica, doveva sembrare una
prova a favore di Pedretti. Comunque, a seguito dello “denunzia” del
Pedretti, il Comune ha fatto richiesta di acquisire la
documentazione attestante l’agibilità, che sarà prodotta entro la
seconda metà di gennaio: non sarà
una grande notizia, ma considerato che prima l’Eco di Bergamo ci
aveva edotti dell’assenza di agibilità certificata della struttura,
sarà forse il caso che, a tempo debito, il giornale orobico faccia
parola dell’agibilità ritrovata.
Per
dirla molto schiettamente: adesso che abbiamo la prova che
Pedretti mentiva, l’Eco di Bergamo tace .
Naturalmente, conserviamo la speranza
di leggere nelle pagine del giornale il resoconto del Consiglio
comunale del 29 dicembre, con approfondimenti e interviste, come nel
caso degli altri Consigli comunali. Quando? Nel frattempo proponiamo
ai nostri lettori la visione di uno spezzone del film Diritto di
cronaca, di Sydney Pollack (1981), con Paul Newman. Come il film
Tutti gli uomini del presidente (1976) mostra efficacemente
l’aspetto eventualmente nobile del giornalismo, così Diritto di
cronaca ne mostra, con non minor efficacia, l’aspetto
eventualmente ignobile.
Diritto di cronaca (titolo originale: Absence of malice)
La vicenda del film si snoda a partire
dalla convergenza degli interessi di un procuratore ambizioso con
quelli di una giornalista ambiziosa. Il procuratore non riesce a
risolvere, ormai da parecchi mesi, il caso dell’assassinio di un
sindacalista. Le sue quotazioni sono in ribasso, ha bisogno di
visibilità. Perciò decide di incastrare Paul Newman. Già, perché
Paul Newman è figlio di un noto contrabbandiere degli anni del
proibizionismo: dunque, fa notizia. I giornali devono pubblicare che
Paul Newman è indagato come esecutore del delitto, anche se non c’è
uno straccio d’indizio, anche se è noto che Newman è pulito. Il
procuratore chiama la giornalista, lascia di proposito aperto un
dossier sulla scrivania, dopo aver chiesto alla segretaria di
trovare un pretesto per farlo uscire.
La giornalista deve fare
carriera e ha bisogno di notizie che facciano il botto. Lasciata
sola nella stanza del procuratore con il dossier spiattellato
davanti, mangia la foglia, legge il dossier e pubblica tutto: Paul
Newman è sbattuto in prima pagina. Il
procuratore rilascerà una dichiarazione, nella quale fa lo gnorri:
lui non ha comunicato niente alla giornalista; quanto alle indagini
in corso, non conferma e non smentisce. Allora un’amica di
Paul Newman si fa viva con la
giornalista. Le fa sapere che il presunto assassino si trovava con lei, il
giorno del delitto, in un’altra città. Era rimasta incinta (di un
altro), Paul Newman l’aveva aiutata ad abortire. Prega la
giornalista di non fare parola dell’aborto, ma di fare qualcosa per
restituire l’onore al suo amico. La giornalista pubblica tutto,
aborto compreso (è una “buona notizia”), l’amica si suicida. Paul
Newman, usando l’intelligenza, manovra perché giustizia sia fatta.
Va da sé che quando si stabilisce
un’analogia tra due situazioni di fatto, o tra una situazione di
fatto e il contenuto di un film, i due piani dell’analogia non sono
in rapporto di corrispondenza biunivoca, come direbbero i
matematici. Tanto per intenderci, l’Eco di Bergamo non ha
procurato la morte di nessuna ragazza. Ma ha fatto morire la
speranza di un’informazione equilibrata, questo sì.
Per leggere la sceneggiatura del clou di tutta questa
vicenda, fare “doppio clic” sull’iconcina qui accanto :
Fino a qualche tempo fa era visionabile lo spezzone relativo
alla sceneggiatura che abbiamo trascritto su pdf per voi
(vedi sopra).
Ma, per ragioni di copyright, lo spezzone è stato levato
dalla rete. Allora lo spezzone ve lo raccontiamo noi.
Paul Newman, avendo deciso di ripagare il
sistema giudiziario con la stessa moneta con la quale è
stato pagato, ha architettato un caso che richiede
l’intervento di un alto funzionario del Dipartimento di
Giustizia, Wells. Viene fuori così la verità sulla falsa
fuga di notizie, che altrimenti non sarebbe mai venuta alla
luce. Conclusione: Rosen, il procuratore ambizioso
(procuratore aggiunto, Assistant US Attorney) e Quinn, il
suo superiore, il procuratore distrettuale (District
Attorney), perdono l’incarico.
Gallaghan, interpretato da Paul Newman, si prende la sua
soddisfazione (che comunque non lo ripaga della perdita
dell’amica Teresa Perrone). La giornalista Carter fa i conti con se stessa, capisce
il male che ha fatto, quello che può fare o quello che
può non fare: davanti all’ispettore del Dipartimento di
Giustizia, decide di non fare il male, almeno questa
volta. Nell’ultima sequenza del film vedremo come la
giornalista, avendo conosciuto Newman, e avendo capito
la differenza che corre tra un vero uomo e un
ominicchio, faccia una scelta di vita: tra una carriera
da percorrere senza un briciolo di umanità e una
condotta di vita improntata a una concezione civile e
pacata dei rapporti di convivenza, anche a costo di
sacrificare la carriera, sceglie di essere umana.
Nota 1 - Questo film ha ricevuto una quantità di
riconoscimenti internazionali (menzione speciale al Festival di
Berlino, premi alla sceneggiatura e agli attori) e una recensione
entusiastica sul New York Times. In Italia, invece, Giovanni
Grazzini è stato tiepido, Tullio Kezich negativo. Eppure parlava del
sistema giudiziario americano e del sistema giornalistico americano,
non di quelli italiani. Provate a discutere la ragione di queste
differenti valutazioni, possibilmente senza ricorrere all’argomento
che noi italiani saremmo più intelligenti degli americani, dei
tedeschi ecc.
Nota 2 - Lo spezzone di film e la sceneggiatura che
vi presentiamo sono in inglese. Preghiamo R. Pedretti, anglista di
chiara fama nel territorio che si affaccia alle sponde del Brembo,
di voleci fornire una traduzione italiana della sceneggiatura.
1 ° aggiornamento (aprile
2010)
Riportiamo dalla pagina di Testitrahus, intitolata
Qui
comincia l’avventura... le seguenti informazioni, non ancora
disponibili al momento della redazione iniziale dell'articolo
(gennaio 2010).
Ci
rivolgiamo alla giornalista che ha seguito le vicende di Curno per
conto dell’Eco
di Bergamo. Anzi, per essere precisi, più che alla giornalista,
ci rivolgiamo alla militante di sinistra (se
ci è concesso: “mi consenta!”, così direbbe l’Innominato). Lo
diciamo senza ironia: fummo anche noi militanti di sinistra, finché
a sinistra non si vergognarono di essere tali, preferendo blaterare
di “società civile”, o giù di lì.
In quanto militante la giornalista, per esempio, ha firmato un
manifesto che deplorava l’arresto di un giovane ricercatore
triestino il quale, recatosi a Copenhagen in occasione di un vertice
internazionale sul clima (il cosiddetto “Summit” del dicembre 2009),
fu trattenuto in stato di fermo con l’accusa di tentata violenza: si
veda l’articolo
sul Corriere della Sera. In seguito, dopo venti giorni, fu
assolto e scarcerato. Riguardo al manifesto, niente di male,
naturalmente: la giornalista è libera di firmare tutti i manifesti
che vuole. Diamo anche per scontato che ci fossero tutte le buone
ragioni di questo mondo per firmare quel manifesto, tanto più che il
ricercatore è stato poi assolto, dunque la presunzione d’innocenza
era fondata. Ma il punto non è questo. Il punto è che quel
ricercatore è triestino e che Trieste dista da Bergamo 363 km;
inoltre l’evento è localizzato a Copenhagen, che dista 1511 km da
Bergamo.
È singolare che la stessa giornalista, nonché militante “de
sinistra”, non si accorga del fatto che il Pedretti si è fatto
promotore di quella maledetta ispezione, un’azione che tutto fa
pensare in contrasto con il «diritto alla libertà di religione,
compresa la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in
pubblico che in privato, la propria religione» sancito dalla
Dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo. Eppure il gesto di Pedretti (che non ha fatto
l’ispezione da lui programmata in forma di provocazione, ma ha
chiesto che si facesse) si verificava a 5,6 km dalla redazione del
giornale in cui la giornalista lavora: si veda la
cartina qui accanto. Inoltre la
giornalista si occupa professionalmente di Curno. È a conoscenza del
gesto di Pedretti. Ora com’è che lei, militante di sinistra, non si
è indignata per il gesto di Pedretti? Nel manifesto che la
giornalista ha firmato si parla dello stato di fermo del ricercatore
triestino come di una «sospensione dello stato di diritto […]
insopportabile per tutti noi». Forse che un’azione in contrasto con
l’articolo 18 della dichiarazione dei diritti dell’uomo è cosa più
sopportabile?
Infine, com’è che Aristide, un privato cittadino senza Dio, né
patria, né padrone, ha avuto il coraggio di sfidare il nume di
Pedretti, questo bau-bau da tutti temuto (chissà poi perché?),
mentre colei che ha il conforto di militare nella schiera compatta e
numerosa del popolo della sinistra ha preferito tacere sui diritti
universali violati?
2 ° aggiornamento (12
febbraio 2011)
La giornalista che sull’Eco di Bergamo
seguiva la cronaca politica di Curno continua a lavorare nel
giornale, ma non esercita più la funzione dispotica di
orientamento dell’opinione pubblica in favore degli
interessi convergenti della c.d. sinistra e di Pedretti. Non
credo che questo sia dovuto ai due articoli pubblicati in
questo sito, Scuola di giornalismo / 1 e Scuola di
giornalismo / 2: non posso tuttavia non esprimere vivo
compiacimento per la cessazione di un brutto periodo di
egemonia del pensiero unico, che molto ha nuociuto, prima
ancora che agli organi di governo del paese, ai cittadini
curnensi.