Siamo nel 1942 a Kostelec, città del Protettorato di Boemia e Moravia (parte della ex Cecoslovacchia) occupato dalle armate naziste. I collaborazionisti cechi irrompono nella classe viii del liceo (l’ultima del corso di studi) per arrestare gli autori di una “cospirazione”, consistita nella caricatura di Reinhard Heydrich, potente governatore del Protettorato di Boemia e Moravia, ucciso da esponenti della resistenza antinazista. Il professor Malek, professore di latino, fino a quel momento vissuto tra i libri, si trova ad affrontare un caso concreto, l’arresto dei suoi studenti, alla luce del suo “principio superiore”: quello che gli deriva dalla lettura di Seneca [1] e di Tacito. Non per niente gli studenti lo chiamano, da sempre, “Signor principio superiore”. Aveva l’abitudine di ripetere che le nostre azioni devono avere come fermo riferimento i principi morali “superiori”, i quali sono tali in quanto prevalgono su ogni altra considerazione, perché la loro autorità discende dalla natura stessa.
Nessuna meraviglia, dunque, se il tema di latino scelto dal prof. Malek per l’esame di maturità è un brano di Tacito (tratto da Annales, iv, 34-35), dove si riferisce di Aulo Cremuzio Cordo, uno storico romano vissuto ai tempi di Tiberio. Di sentimenti repubblicani, Cremuzio Cordo aveva affermato che Cassio, il tirannicida, era stato l’ultimo dei Romani (quod… C. Cassium Romanorum ultimum dixisset): questo fu il pretesto per cui fu messo sotto accusa da Seiano, potente prefetto del Pretorio. [2] Un principio superiore spinse Cordo a non accettare l’ignominia di un processo manipolato, perciò si lasciò morire d’inedia. Secondo Tacito, quello di Cordo fu il primo caso di applicazione della legge di lesa maestà a carico di uno scrittore (novo ac tunc primum audito crimine).
Tuttavia i tre studenti, accusati essi stessi di lesa maestà, non consegneranno il compito: hanno appena cominciato a tradurre le prime righe, quando i collaborazionisti si presentano al liceo per prenderli in consegna.
Il prof. Malek si reca dal comandante della Gestapo, che promette l’imminente liberazione dei ragazzi. L’ufficiale non mantiene la parola, i ragazzi saranno fucilati.
Nella scena finale del film il professore ha il compito di illustrare alla classe l’accaduto. Lo fa alla luce del “suo” principio superiore, denunciando la ferocia nazista. Il film non racconta il seguito, non è necessario che lo dica: ma è evidente che il buono e onesto e veramente sapiente professore (perché la coerenza è la virtù dei sapienti) pagherà caro il prezzo della sua fedeltà al principio superiore. Come Aulo Cremuzio Cordo, del resto. Il discorso sarà trascritto nel registro di classe.
Qui di seguito presento uno spezzone del film: i dialoghi sono in cèco. Sotto la finestra di presentazione del film, la sceneggiatura relativa alle scene riprodotte: il lettore può aprire due pagine uguali e seguire nella prima le scene in movimento del film, mentre nell’altra legge le didascalie. La sceneggiatura non è una traduzione della sceneggiatura originale, ma è stata da me ricostruita ex post.
Infine, la tabella in basso presenta i passi di Seneca e Tacito citati nel film.
Estratto dalla sceneggiatura
L’antefatto: i baffi sulla foto del Reichsprotektor
Aula di ricreazione nel liceo classico di Kostelec: al centro della scena, Vlasta e i suoi due inseparabili amici (insieme formano un terzetto denominato “I tre moschettieri”), Jana, che fa gli occhi dolci a Vlasta, altri compagni. Stanno smontando un teatrino di cartone che avevano preparato per la festa di fine d’anno. Ma è tutto rimandato, perché dopo l’attentato al protettore di Boemia e di Moravia è stato decretato il lutto stretto: niente feste, niente mercato, niente assembramenti.
Un “moschettiere” porge una fetta di pane imburrato a Vlasta:
Primo “moschettiere” - Ecco, Vlasta!
Poi vede sul tavolo un giornale che riporta la foto del Protettore di Boemia e Moravia:
Primo “moschettiere” - Combinazione! Vedi un po’, il Reichsprotektor.
Vlasta - Fammi vedere.
Vlasta legge un titolo a caratteri di scatola sul giornale.
Vlasta - Gli succede l’SS Obergruppenführer.
Commenta:
Vlasta - Non ne ha avuto per molto.
Vlasta disegna baffi e pizzetto sulla foto del Reichsprotektor. Jana ride divertita. Il moschettiere di prima chiede di avere il giornale:
Primo “moschettiere” - Dàmmi!
L’amico aggiunge dei tratti di penna intorno alle orecchie del Reichsprotektor, così sembrano le orecchie di un vampiro. Dietro di loro uno studente svogliato e asociale, figlio di un commerciante, nonché confidente della polizia germanica, osserva con vivo interesse lo sberleffo: sarà lui il delatore. Il terzo “moschettiere” incrocia lo sguardo con quello del delatore. Capisce che c’è da temere una denuncia. Si appropria del foglio di giornale, lo appallottola e lo getta nella stufa (che è spenta: siamo alla fine dell’anno scolastico).
Terzo “moschettiere” - Non si scherza con queste cose!
Sala dei professori
Il mattino successivo, dopo l’esecuzione dei tre ragazzi: la scena si svolge nella Sala dei professori. Entra il professore di tedesco, che pretende di esercitare un ruolo egemone in tutto il liceo, in qualità di fiduciario degli occupanti. È terrorizzato:
Prof. di tedesco - Ecco che cosa succede, quando ci si mette contro! Ci metteranno al muro, come a Tabor!
Entra il prof. Malek, affranto. Il professore di tedesco estrae dalla cartella una dichiarazione già preparata, forse da lui stesso.
Prof. di tedesco - Colleghi, ritengo opportuno far pervenire una dichiarazione di lealtà al Segretario di Stato K.H. Frank e al ministro Moravec.
Il professore di tedesco si rivolge al professore anziano, intinge la penna nel calamaio, gliela porge:
Prof. di tedesco - Prego, collega. Lei che è il più anziano fra noi, sia lei il primo ad apporre la firma.
Il professore anziano rifiuta la penna, legge il documento a voce alta. I professori ascoltano esterrefatti. Il professore di tedesco, in piedi, li osserva uno per uno, come per controllarne le reazioni.
Prof. anziano - «Con sincero sentimento di rispetto e lealtà nei confronti del Reich e del suo Führer, il corpo docente del Liceo di Kostelec condanna per mezzo della presente, con incondizionata indignazione, il gesto sciagurato di tre studenti del nostro Liceo…».
Il professore anziano interrompe la lettura, posa il foglio, guarda dritto negli occhi il professore di tedesco:
Prof. anziano - Sono vecchio. Non intendo vivere il resto della mia vita nel disonore.
Prof. di tedesco (contrariato) - Vuol dire che leggerò io.
Prof. di Scienze - Non ce n’è bisogno.
Prof. di tedesco - Bisognerà almeno fare un discorso ai ragazzi dell’viii, un discorso di ferma condanna per il gesto sovversivo dei tre loro compagni, da trascrivere nel registro di classe.
Preside. - Già, ma chi lo farà?
Prof. di tedesco - Lo farà il coordinatore del corso, il prof. Malek.
Il Consiglio dei professori è sciolto. Sullo scalone del liceo il preside raggiunge il prof. Malek che si appresta a entrare nell’aula della classe viii:
Preside - Prof. Malek, ho piena fiducia in lei: confido che saprà parlare con cautela e prudenza. Inoltre la pregherei di non far menzione di quel suo principio superiore.
Prof. Malek - So bene quel che devo fare.
Il discorso del prof. Malek agli studenti
Il prof. Malek entra in aula, con la morte nell’anima. Gli studenti, seduti, confabulano sommessamente, due a due. All’ingresso del professore cala il silenzio, gli studenti si alzano, ne scrutano l’espressione, hanno fiducia in lui. Anche loro hanno la morte nell’anima, ma sono fieri, composti. Il prof. Malek si avvicina alla cattedra, a passi lenti. Fa gesto agli studenti di sedersi.
Prof. Malek - Studenti, il corpo docente del nostro liceo mi ha affidato l’incarico di presentarvi una versione del fatto, terribile, avvenuto ieri. I vostri tre compagni sono stati fucilati per aver approvato l’attentato al Reichsprotektor.
Inquadratura dei banchi vuoti.
Prof. Malek - Ora, in base a un principio morale superiore, l’assassinio di un tiranno non è un crimine.
L’inquadratura mostra l’emozione nel volto dei ragazzi.
Prof. Malek - Io protesto, come è doveroso che protesti ogni uomo onesto. Protesto contro l’assassinio dei vostri amici. Possa il loro sangue innocente e puro ricadere sui carnefici!
Il prof. Malek si volta verso la lavagna, per nascondere la commozione. I ragazzi si alzano, hanno un aspetto fiero, sono orgogliosi del loro “Signor principio superiore”. Il prof. Malek si volge nuovamente ai ragazzi. Hanno gli occhi lucidi, sono affranti, ma non hanno paura.
Seneca e Tacito nel film Il principio superiore
Seneca, De constantia sapientis, xix, 3 Il prof. Malek sfoglia un libro in Sala professori. Il professore di Scienze, che siede alla sua sinistra, coglie un lampo di intimo compiacimento nell’espressione del collega. Gli chiede che cosa legga di bello. Il prof. Malek risponde “Seneca”, poi legge il brano, in traduzione. Il professore di Scienze trova che il brano sia molto bello, anche molto attuale, a distanza di 2000 anni. |
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Etiam si premeris et infesta vi urgeris, cedere tamen turpe est: adsignatum a natura locum tuere. Quaeris quis hic sit locus? Viri. |
Quale che sia la ragione che ti angoscia, o la forza dalla quale ti senti assediato, tirarsi indietro è turpe: mantieni dunque il posto che ti è stato assegnato dalla natura. Mi domandi quale sia questo posto? È il posto dell’uomo d’onore. |
Tacitvs, Annales, iv, 34-35 Il prof. Malek annuncia in Sala professori che il tema del compito di latino per l’esame di maturità sarà tratto da un brano di Tacito dove si parla di Cremuzio Cordo, uno – dice – che eroicamente si lascerà morire di fame. In una scena successiva Jana si prende la libertà di chiedere al professore di Scienze se per caso sappia quale sia il brano di latino scelto per l’esame di maturità. Il professore dice quel che ha sentito in Sala professori. (Un po’ in tutto il film il professore di Scienze si mostra soccorrevole verso i ragazzi: si ha ragione di capire che sia un membro della resistenza clandestina). Jana si reca a casa di Vasta per chiedergli aiuto: lei non è forte in latino. Vlasta e Jana vanno al lago, appena fuori città, si siedono sull’erba, sotto un albero. Vlasta trova il brano di Tacito dove si fa parola di Cremuzio Cordo, lo traduce all’impronta. I ragazzi commentano che il professore ha scelto un brano molto bello, consono al loro tempo. |
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Egressus dein senatu vitam abstinentia finivit. libros per aedilis cremandos censuere patres: set manserunt, occultati et editi. quo magis socordiam eorum inridere libet qui praesenti potentia credunt extingui posse etiam sequentis aevi memoriam. nam contra punitis ingeniis gliscit auctoritas, neque aliud externi reges aut qui eadem saevitia usi sunt nisi dedecus sibi atque illis gloriam peperere. |
Uscito quindi dal Senato si lasciò morire di fame. Il Senato incaricò gli edili di far bruciare i suoi libri; che furono, invece, conservati, nascosti prima e poi – più tardi – pubblicati. Quanto più si deve sorridere della follia di coloro che, forti della loro presente potenza, credono che la memoria possa essere cancellata, anche nelle età che verranno. Infatti, col tempo, si fa sempre più grande l’autorità degli uomini di carattere e d’ingegno che furono colpiti da condanna. D’altra parte i re stranieri o quanti si servirono di tale forma di persecuzione nient’altro hanno ottenuto, se non un disonore per sé e gloria per i loro nemici. |
Seneca, Epistulae morales ad Lucilium, V, xlvii, 10 Il prof. Malek legge un brano dell’epitola di Seneca sugli schiavi nel corso di una lezione improvvisata, in supplenza del professore di lingua boema, che deve improvvisamente recarsi a Praga. Poi concede che gli studenti vadano al lago: non c’è, infatti, un “principio morale” per cui possa costringere gli studenti in classe, in assenza del titolare dell’ora di lezione. |
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Vis tu cogitare istum quem servum tuum vocas ex isdem seminibus ortum eodem frui caelo, aeque spirare, aeque vivere, aeque mori! tam tu illum videre ingenuum potes quam ille te servum. Variana clade multos splendidissime natos, senatorium per militiam auspicantes gradum, fortuna depressit: alium ex illis pastorem, alium custodem casae fecit. Contemne nunc eius fortunae hominem in quam transire dum contemnis potes. |
Pensa che costui che tu chiami schiavo è della tua stessa natura, gode dello stesso cielo e, come te, respira, vive, muore. Come puoi vedere lui libero, così lui può vedere te schiavo. Al tempo della disfatta di Varo la fortuna abbassò molti uomini di nobile origine che, attraverso la carriera delle armi, aspiravano alla dignità di senatori; e ridusse chi nella condizione di pastore, chi in quella di guardiano di un tugurio. E ora disprezza pure l’uomo che si trova in uno stato di miseria in cui anche tu, mentre lo disprezzi, puoi cadere. |
Seneca, Epistulae morales ad Lucilium, I, iv, 8 Il prof. Malek è a casa, nello studiolo pieno di libri. Dalle finestre penetra la voce degli altoparlanti che in tutta la città annunciano l’esecuzione dei resistenti. Il professore chiude la finestra, ma ancora si sente la voce che scandisce nome, luogo e data di nascita dei condannati a morte. Si siede angosciato alla scrivania. Mette da parte il lavoro al quale accudiva, prende un libro da sotto una pila sulla scrivania, si capisce che cerca una pagina in particolare. Entra la governante con il vassoio della colazione. Posa il vassoio, gli domanda come possa leggere, mentre si sentono queste cose: uccidono intere famiglie, figli compresi. Il professore risponde che è Seneca, legge ad alta voce il brano. |
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Cogita posse et latronem et hostem admovere iugulo tuo gladium; ut potestas maior absit, nemo non servus habet in te vitae necisque arbitrium. Ita dico: Quisquis vitam suam contempsit, tuae dominus est. Recognosce exempla eorum, qui domesticis insidiis perierunt, aut aperta vi aut dolo: Intelleges non pauciores servorum ira cecidisse quam regum. Quid ad te itaque, quam potens sit, quem times, cum id, propter quod times, nemo non possit? |
Pensa che un assassino o un nemico può piantarti un pugnale nella gola; e quando non c’è un potente, c’è sempre uno schiavo che ha facoltà di vita o di morte su di te. Intendo dire: chiunque è disposto a mettere a rischio la propria vita è padrone della tua. Rammenta gli esempi di coloro che furono vittime di delitti domestici, compiuti con agguati e con violenza aperta: troverai che i caduti per odio di schiavi non sono meno numerosi di quelli che incorsero nell’ira del re. Che importa, dunque, quanto sia potente l’uomo che temi, se c’è sempre qualcuno che può farti ciò che temi? |
7 giugno 2010
[1] Per esempio, secondo Seneca è un principio morale superiore quello che afferma il vincolo di fratellanza fra tutti gli uomini. Si veda quanto scrive a proposito degli schiavi: «Apprendo volentieri da coloro che sono stati a casa tua che vivi in familiarità con gli schiavi. Il che si addice alla tua saggezza e alla tua educazione. Dicono: “Ma sono schiavi”: già, ma sono uomini, innanzi tutto. Dicono “Sono schiavi”: ma io dico che sono coloro che vivono con te sotto lo stesso tetto. “Sono schiavi”: ma sono i tuoi umili amici. “Sono schiavi”: semmai sono tuoi compagni di schiavitù, se appena pensi che tu, al pari di loro, sei soggetto ai capricci della fortuna» (Lettere a Lucilio, xlvii). O, ancora: «Bisogna seguire la natura come guida, quella stessa che è oggetto dell’indagine da parte della ragione, alla quale la ragione si rivolge per consiglio» (De vita beata, viii, 1). Infine, sempre sulla relazione tra il principio morale e la legge di natura: «Quale che sia la ragione che ti angoscia, o la forza dalla quale ti senti assediato, tirarsi indietro è turpe: mantieni dunque il posto che ti è stato assegnato dalla natura. Mi domandi quale sia questo posto? È il posto dell’uomo d’onore» (La costanza del sapiente, xix, 3).
[2] La causa vera però (secondo Seneca, che scrisse anche lui di Cremuzio Cordo nella Consolazione a Marcia) era un’altra: lo storico si era espresso troppo liberamente nei confronti di Seiano, dandogli dell’arrampicatore sociale: «Irascebatur illi ob unum aut alterum liberius dictum, quod tacitus ferre non potuerat, Sejanum in cervices nostras nec imponi quidem, sed escendere» (Ad Marciam consolatio, xxii). Cioè: “L’ira (di Seiano) nasceva dal fatto che (Cordo) si era espresso troppo liberamente una o due volte: il quale non poteva passare sotto silenzio che Seiano non ci fosse stato neanche (nec.. quidem) imposto (dall’imperatore), ma che si fosse arrampicato sulle nostre spalle”. L’immagine evocata da Seneca è quella dell’arricchito che si fa portare in lettiga dagli schiavi: questo significa in cervices nostras imponi, lett. “gravare (con le stanghe della lettiga) sul nostro collo”.
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