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14 novembre 2011 

Monti: una dittatura della borghesia di rito giansenista?

 

 

 

 

 

George Grosz, Eclissi di sole (1926). Il quadro rappresenta i poteri forti che impongono la propria volontà a politici e gazzettieri, decapitati, perché sottomessi alla volontà dei potenti. I poteri forti sono un banchiere e un militare (al tempo di Grosz i militari erano in Europa più  potenti dei burocrati e dei sindacati). Il titolo del quadro si deve al fatto che il sole è oscurato (di qui la sua eclissi) dal dio denaro, rappresentato dal dollaro, in alto a sinistra (oggi, al posto del dollaro, ci sarebbe l’euro). I volti dei poteri forti sono storpiati dall’aggressività. L’asino rappresenta le masse oppresse (oggi, gli eroi senza diritti sindacali), costrette a cibarsi di scartoffie. In basso a destra, lo scheletro e la grata simboleggiano l’orrore incombente (con questa parola, “Orrore!”, si chiude Cuore di tenebra, di Conrad). A novant’anni di distanza, abbiamo oggi una situazione abbastanza simile. Cambiano soltanto, in parte, i protagonisti: infatti, gli uomini politici, anche quando fanno la voce grossa e si compiacciono di essere “casta”, continuano a essere acefali, al servizio di qualcos’altro rispetto a quel che dicono di rappresentare; sono parimenti acefali i gazzettieri, oggi come ieri. Inoltre anche oggi i banchieri dettano legge, ma per decapitare gli uomini politici e i gazzettieri si servono dei burocrati, invece che dei militari. Dunque accanto al finanziere bisognerebbe oggi collocare un burocrate d’alto bordo. Per completare il quadro aggiornato alla situazione attuale, occorre un terzo uomo: accanto al burocrate dovrebbe sedere un grosso papavero del sindacato, che oggi non è più sindacato degli operai, ma degl’impiegatucci; oppure un dirigente della c.d. sinistra, in rappresentanza delle masse impiegatizie inerti. La funzione del terzo personaggio è dare una legittimazione “democratica” al potere autocratico del finanziere, quella del burocrate è dare una legittimazione tecnica. Il banchiere tiene banco ed è, per definizione, vincente. Sulla Trimurti che salda in un pernicioso patto sociale potere finanziario, burocrazia di fascia alta e masse impiegatizie inerti (con la mediazione del sindacato e della cosiddetta sinistra), si veda quanto è scritto in questo sito, nella pagina Eredità della sinistra.

 

 

 

 

Premessa

Com’è noto, Mario Monti, presidente dell’Università Bocconi di Milano, già Commissario europeo per il Mercato interno, già Commissario europeo per la Concorrenza, Cav. di Gr. Croce (come il Megadirettore di Fantozzi) il 9 novembre 2011 è stato nominato senatore a vita per meriti in campo scientifico e sociale. Quindi il 12 novembre è stato incaricato dal Presidente Giorgio Napolitano di formare il nuovo Consiglio dei ministri, dopo le dimissioni di Berlusconi.

 

 

 

1. Dal berlusconismo orgiastico alla cattiveria giansenista

 

 

 

Georg Grosz, Orgie (1922).

 

Berlusconi era in sofferenza da tempo, come si argomenta in questo sito nella Berlusconeide, scritta il 27 gennaio di quest’anno. Ivi si prospettavano cinque scenari per il dopo-Berlusconi. Quello che si sta realizzando assomiglia al secondo scenario, con una variante determinata dallo “spread”, una robaccia da speculatori finanziari, che purtroppo però è una cosa seria. La Storia si prende gioco di noi? Non so, però questa soluzione, che vede comunque l’egemonia della borghesia, potrebbe essere migliore di quel mio secondo scenario. Sarà migliore se Monti, varesino di nascita e milanese d’adozione, perfettamente inserito nella tradizione di giansenismo milanese (un modo di essere protestanti, pur continuando a dirsi cattolici) sarà cattivo quanto basta. Come sempre sono stati cattivi i giansenisti. Qualche volta sono anche carogne. Ma forse in questo caso non tutto il male vien per nuocere.

     Chi ha frequentato il Politecnico di Milano qualche tempo fa conosce bene la tradizione dei severi professori giansenisti, molto cattivi con gli studenti. Pare però che al Politecnico abbiano messo da parte quella tradizione, adesso sfornano persino ingegneri gestionali e ambientali, quasi una vergogna. È avvenuto così che quella tradizione sia stata raccolta dalla Bocconi, dove tutti si prendono molto sul serio.

       Però erano bravi quei professori politecnici, ottimi conoscitori della materia, concreti, sempre all’altezza della situazione, senza padrini politici, non c’è che dire: beh, insegnavano cose serie, mica marketing triccheballacche. Il più rappresentativo, probabilmente il più nobile, della setta giansenista era Arturo Danusso, professore di Scienza delle Costruzioni. Danusso era troppo “antico” perché potesse essere mio professore. Il corso di Scienza delle Costruzioni da me frequentato era tenuto da Giuseppe Grandori, che era della stessa scuola: le lezioni si concludevano con l’applauso degli studenti, come segno di gratitudine per aver finalmente capito, a lezione, quel che non erano riusciti a comprendere sui libri. Grandori, oltre che bravo, era anche umano. Cosa che non potrei dire di Francesco Vito, già rettore della Cattolica, professore di Economia al Politecnico e perfetto rappresentante dell’ideologia giansenista. In breve: non volle esaminare un mio collega, studente lavoratore, il quale si era presentato all’appello con dieci minuti di ritardo. Il malcapitato spiegò la ragione del ritardo, quasi umiliandosi davanti a noi che attendevamo di essere esaminati:  disse che aveva dovuto chiedere un permesso in fabbrica. Non l’avesse mai detto! Il prof. Vito divenne paonazzo: lei vuole studiare e lavorare insieme! Vada via! Il prof. Vito aveva stabilito – bontà sua – che il mio collega, in quanto studente-lavoratore, non era predestinato.

     Come altro esempio di cattiveria giansenista, si consideri il significato del crocifisso giansenista, qui accanto (i crocifissi giansenisti sono tutti così, il Cristo ha sempre le braccia alzate). È conservato nel Museo di Rossino di Calolziocorte, in località dove si ha ragione di credere che il Manzoni avesse collocato il castello dell’Innominato. Diciamo anche, di sfuggita, che il Manzoni era in odore di giansenismo: non entriamo nei particolari, sarebbe un discorso troppo lungo, con divagazione sul grande latinista Gaspar von Orellius, pastore protestante a Bergamo, che nel 1808 unì in matrimonio Alessandro Manzoni con Enrichetta Blondel, calvinista. Basti dire qui la ragione per cui il crocifisso ha le braccia alzate e non distese, in orizzontale: per evitare che il Cristo abbracci tutta la comunità dei fedeli, indistintamente. Infatti, «molti i chiamati, pochi gli eletti» (Mt., xxii,14): insomma, per chi non l’avesse capito, qui c’è il senso della predestinazione calvinista. L’amore del Cristo non è universale. Attenzione anzi, signori “non eletti”: potreste finire all’inferno.

     Concludendo: Monti, pur avendo studiato dai gesuiti, riassume benissimo la tradizione giansenista a suo tempo incarnata dai severi professori politecnici. Non facciamoci ingannare dalle apparenze. Semmai studiamole, queste apparenze: apparrà subito – in base a evidenti indizi fisiognomici – che Monti è una spanna al di sopra del giansenismo d’accatto bocconiano, arrivando a sfiorare la severità giansenista dei professori politecnici, senza tuttavia raggiungere le vette di ieratica astrazione di questi ultimi. I professori politecnici, infatti, presentano notevolissime affinità, per via del culto della matematica, con il filosofo Pascal, un campione del giansenismo; i bocconiani al confronto sono soltanto degli orecchianti. Inoltre bocconiani sono proclivi al marketing triccheballacche, che i professori politecnici d’antan avrebbero disprezzato con tutto lo sdegno di cui potevano essere capaci. Nel giansenismo in salsa bocconiana Dio è sostituito dal Denaro e dal Successo, la grazia divina dal gradimento da parte dei circoli finanziari che contano (fra questi, il Club Bilderberg e la Commissione Trilaterale). Per quanto riguarda il giansenismo in senso propriamente religioso, si veda lo spezzone di film qui sotto (nell'intervallo 4:18 - 8:25).

 

 

In base alla dottrina giansenista (da Cornelius Jansen, latinizzato in Jansenius, cioè Giansenio), il peccato originale fa nascere l’uomo corrotto e naturalmente proclive al male: senza la grazia di Dio non c’è salvezza. D’altra parte, la grazia non è automatica, può esserci o può non esserci, è un dono di Dio (la grazia “efficace”). Di fatto, i giansenisti si avvicinano al protestantesimo negando o quanto meno circoscrivendo il libero arbitrio come promotore della grazia divina. La libertà va intesa non come assenza di necessità, ma come assenza di costrizione. Sbagliano dunque – secondo i giansenisti – i gesuiti, i quali ritengono la salvezza alla portata di tutti, facendo dipendere la grazia divina dalle buone azioni, dalla buona volontà, dalla virtù (un argomento tutto a favore del proselitismo gesuitico). Perciò in questa scena tratta dal film di Buñuel, La Via lattea, assistiamo a un duello fra un gesuita e un giansenista. La ragione del contendere è una delle proposizioni di Giansenio, secondo la quale Dans l’état de la nature déchue, on ne résiste jamais à la grâce intérieure, “Nello stato di natura decaduta non si resiste mai alla grazia interiore” che viene da Dio. Questa proposizione sarà condannata come eretica da papa Innocenzo X, nel 1653, perché costituisce una negazione del libero arbitrio.

 

 

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Giotto, Cristo caccia i mercanti dal tempio, Padova, Cappella degli Scrovegni (1303)

 

 

 

 

 Lettere dall’antro abduano

 

 

 

Quel che segue è una sorta di diario di navigazione (per quelli che non sanno l’italiano: blog) scritto nei giorni che precedono la caduta di Berlusconi, costruito mettendo insieme i messaggi che inviavo ad alcuni amici. Già alla fine di ottobre si capiva che il Cav. sarebbe caduto: le cause sono spiegate, in parte, in questo stesso scarno diario di navigazione. Riporto le cose dette tal quali, salvo qualche piccolo aggiustamento: ho levato, sia pure a malincuore, certe punzecchiature, per evitare le incursioni terroristiche dei miserabili denunciatori seriali

     Quelle che seguono non sono certo le Lettere persiane di Montesquieu, nemmeno le Lettere dal mio mulino di Daudet: tutt’al più, se va bene, saranno le Lettere dall’antro abduano (quello dal quale scrivo).

 

 

 

martedì 25 ottobre 2011 - h. 23.00

 

2. Niente trucchi, niente Montezemolo. Vogliamo parlare con il titolare del negozio, cioè con Monti

 

Mancano 18 giorni alla caduta di Berlusconi. In giro non si fa il nome di Monti, per non bruciarlo. Si capisce però che gli ambienti che contano, i generali dell’esercito di occupazione franco-alemanno, gli gnomi di Zurigo, le lobby finanziarie londinesi, Eugenio Scalfari ecc. vogliono Monti. Per capirlo, basta ragionare. Prima dicevano Monti di qui e Monti di là. Adesso tacciono. Già, perché lo vogliono papa. Per evitare che Monti, essendo chiacchierato papa, esca dal conclave cardinale, improvvisamente non se ne parla più. Se uno non è stupido, capisce immediatamente che lorsignori vogliono Monti.

    Il bello è che a questo punto anche la gente come me vuole Monti, in base al principio del male minore. L’Italia è comunque commissariata, le truppe hanno invaso il “territorio” (però, per carità, niente retorica patriottarda, niente retorichetta territoriale!): prendiamone atto, e vediamo di evitare un bagno di sangue. Questa classe politica è inetta, la borghesia potrebbe ritrovare le sue virtù, in particolare la borghesia ambrosiana potrebbe riscoprire il suo filone giansenista. Potrebbe anche spezzare il patto scellerato con le masse impiegatizie inerti. Dunque, ben venga (diciamo così) la dittatura  della borghesia.

 

 […] Anche per questo, sarebbe meglio che il governo cadesse. Tanto, è chiaro: l’hanno vinta loro, i bocconiani: cioè, la lobby milanese di rito giansenista, con Mario Monti, presidente della Bocconi, in testa. Sono nemici del popolo, ma almeno sono in grado di prendere in mano le redini, sapranno evitare che la diligenza precipiti nel baratro.

    C’è sull’Espresso un articolo di Cacciari, che ancora non ho letto, ma il titolo dice più o meno questo: che ben venga la borghesia. L’importante però – dico io – è che sia la borghesia giansenista a prendere le redini, in prima persona, senza mandare avanti il “libero e bello” Montezemolo, la svampita Marcegaglia e bambocci simili.

     Poi però faremo i conti. In ogni caso, bisogna dire che sono stati abili. Hanno messo Berlusconi nelle condizioni di non agire, sfruttando tutte le sue debolezze politiche, economiche (il conflitto di interessi) e – soprattutto – psicologiche (il priapismo è una debolezza psicologica? Forse dovrei riformulare il tutto).

     La Lega nord vuole andare alle elezioni (è chiaro) ma il circolo magico ha paura di perdere il controllo del partito: questa è la tesi del Fatto quotidiano. Mi sembra condivisibile. Ecco un’altra ragione perché il governo Berlusconi cada. In ogni caso, B. non riesce a far niente, è paralizzato. Come italiano, devo pensare all’Italia. Passare la mano alla borghesia giansenista tutto sommato è il male minore. Anche Marx disse a un certo punto: votate per la borghesia.

 

 

 

 

 

Mercoledì 26 ottobre 2011 - h. 12.43

 

3. De Bortoli, direttore del Corriere, dà il benservito a Berlusconi

 

Mancano 17 giorni alla caduta di Berlusconi. Questa lettera è un commento all’articolo di De Bortoli, direttore intelligentissimo del Corriere della sera (peccato che gli eroi d’Italia, i giovani e i lavoratori senza diritti sindacali, non abbiano uno come De Bortoli dalla loro parte): Mettere il paese davanti a tutto.

 

 

Questo articolo di De Bortoli, direttore del Corrierone, era prevedibile, ed è stato previsto. Vi si legge, tra l’altro:

«Esiste in Europa, piaccia o no (a noi non piace perché vi vediamo anche un pregiudizio anti-italiano) un problema legato alla persona del premier, più che al governo. E la colpa è solo sua. Il Cavaliere, con il quale la storia sarà meno ingenerosa della cronaca, è anche uomo d’azienda. Sa valutare il mo-mento in cui è necessario mettersi da parte per salvare la sua creatura, il par-tito e le future sorti del centrodestra italiano. Ma prima ancora viene il Paese. Una volta tanto».

     Come disse Berlusconi di Gheddafi (è scritto nell’Imitazione di Cristo di Tommaso da Kempis): Sic transit gloria mundi. Ma si potrebbe dire anche di Berlusconi.

     Nota: De Bortoli è de facto di osservanza giansenista, pur non avendo fatto le scuole gianseniste (ha invece studiato all’Istituto Feltrinelli, al tempo in balìa a fermenti rivoluzionari, che però non lo toccarono). Come molti grandi milanesi, non è di origine milanese, ma è il rappresentante perfetto dell’idea platonica di borghesia milanese. Com’è noto, della borghesia milanese d’antan rimane ben poco. Per mancanza di sangue e spirito vitale, i rottami della borghesia meneghina si sono intruppati con i ciellini e – soprattutto – con la cosiddetta sinistra. Ogni tanto però c’è qualcuno che prova a rialzare la testa, memore degli antichi fasti tessili, politecnici, lombardo-svizzeri ecc. Ma è un cane sciolto, finora non è successo niente. De Bortoli potrebbe essere il traghettatore dei rottami verso una nuova era di splendore, sempre che si possa cavare qualcosa da questi rottami. O non è piuttosto necessaria una rivoluzione?

 

 

 

 

 

mercoledì 02/11/2011 - h. 13.22

 

4. Secondo avviso di De Bortoli

 

Mancano 10 giorni alla caduta di Berlusconi. Su Libero compare un articolo dal titolo inequivocabile: Il Colle scende in campo. Pronto il governo Monti (probabilmente rompono le uova nel paniere dei poteri forti, ma tant’è, quello di Monti presidente è il segreto di Pulcinella). Lo stesso giorno compare un nuovo articolo di Ferruccio de Bortoli (Fermare la deriva) nel quale non si fa il nome di Monti (ovvio) ma Berlusconi viene invitato o a ruggire (se ne è capace: proprio come vuole Ferrara) o, più verisimilmente, a farsi da parte.

 

Dunque, tutto come previsto, come scrivevo il 25 ottobre. Ma – ci tengo a dirlo – questa non è divinazione esoterica. È soltanto conoscere i polli, cioè una certa borghesia di merda. Per tirare a campare questa borghesia ha fatto – ormai da parecchi anni, da due buoni decenni a questa parte: v. il primo governo Prodi – un’alleanza infame con le masse impiegatizie inerti e con i Grands commis de l’État. Poiché le faceva comodo, ha spolpato finché ha potuto gli eroi che lavorano senza diritti sindacali (e gli extracomunitari), costringendo i giovani a lavorare precariamente per 4-6 euro l’ora, o ad accettare l’elemosina dei padri e dei nonni che vivono per lo più di redditi non meritati (con l’eccezione, è ovvio, dei giovani che godono di qualche aiutino –  in francese: piston – familiare). Adesso che le cose vanno male, con la scusa che Berlusconi è un puttaniere, si apprestano a prendere le redini loro.

     Pare che le redini vadano in mano a Monti: nella disgrazia, questa è una consolazione, sempre meglio lui, che è un rappresentante della borghesia milanese giansenista (mi ricorda certi professori politecnici, cattivissimi ma bravi), che certe sciacquette, con il plauso di altre sciacquette, ancora più sciacquette (Vendola, una Melandri rediviva, giovani industriali capresi, Marcegaglia, movimenti di liberazione sessuale ecc.). Con lui la diligenza non precipita nel burrone. Però a questo punto la borghesia di merda vorrà spolpare tutti gli italiani, compresi i cocchetti di ieri, cioè le masse impiegatizie inerti. Ma non c’è altro da fare. Passiamo il comando a Monti, sempre meglio che a Montezemolo.

     Dunque, prepariamoci ad affrontare un periodo di mistificazione bocconiana. E che Dio ce la mandi buona. Propongo questa versione aggiornata di Ça ira:

 

Ah! Ça ira! Ça ira! Ça ira!

Les bourgeois à la lanterne

Ah! Ça ira! Ça ira! Ça ira!

Les bougeois, on les pendra!

 

Si veda questo bellissimo spezzone e si senta la voce di Edith Piaf che canta  Ça ira.

 

 

Passata la bufera, prepariamoci anche noi a fare un’irruzione simbolica (dove? ai cancelli della Bocconi?). Adesso lasciamoli lavorare, sia perché così suggerirebbe Marx in persona, sia perché bisogna prendere atto della lezione della storia: Kennedy stava per scatenare la terza guerra mondiale, ma il contenzioso con i cinesi fu chiuso da Nixon. E, nelle cose piccole, solo Pisapia poteva permettersi il lusso di aumentare le tariffe dei trasporti urbani a Pastrufazio del 50%. L’avesse fatto l’esoterica dentona, la Moratti, apriti cielo!

 

Auguri a noi!

 

 

 

 

 

 

venerdì 04/11/2011 - h. 10.26

 

5. Maroni tra il cerchio magico e l’orgia berlusconiana

 

Mancano 8 giorni alla caduta di Berlusconi. Questa lettera è di commento a un articolo sul Fatto quotidiano, segnalatomi da un amico: Maroni fa il rottamatore della Lega: “Dare fiducia ai giovani, il futuro è loro”.

 

Maroni sa bene di essere in odore di eresia, ma non desiste, parla anzi in nome della Lega. Fa benissimo.

     Non dimentichiamo l’antica lezione (anche democristiana, ma accettabile e accettata da qualunque socialista scientifico): i partiti contano per l’elettorato che rappresentano, non per le genialate di qualche ducetto nazionale o territoriale. Altrimenti dovremmo dare la palma all’Udc, che ha l’uomo forse (politicamente) più preparato, anche se non sta seguendo le lezioncine della Cepu-Curno-scuola di partito messa su dalla magnifica rettrice Perlita «Margaritula» Serra. Ma l’elettorato dell’Udc è fatto d’impiegati, il più delle volte inerti. L’elettorato della Lega invece – almeno finora – è stato un elettorato sano (perlomeno da un punto di vista sociale). Dunque fa bene Maroni a non mollare.

      Peraltro non sono d’accordo con Maroni che esclude un governo tecnico. Non che sia favorevole ai governi tecnici, sono assolutamente a favore del primato della politica. Ma il fatto è che il potere finanziario, in particolare la c.d. finanza “laica” con tutte le sue propaggini istituzionali, burocratiche e internazionali, ha ottenuto quel che voleva, il logoramento e disarcionamento di Berlusconi. Il “25 luglio” si approssima al gran galoppo. Rimandare la resa dei conti fa male a tutti, e non solo a Berlusconi (fa male alla sua salute).

     Adesso, se si andasse verso un governo guidato dal curiale Letta, con il placet della finanza c.d. “laica” e dei circoli che contano, i politicanti PdL et al. vorrebbero ancora una volta avere voce in capitolo. Inoltre bisognerebbe dare contentini a pezzi di finanza “non laica”, soprattutto si avrebbe un occhio di riguardo per le masse impiegatizie inerti.  Risultato: macelleria sociale nei confronti dei ceti veramente produttivi (operai, artigiani, professionisti non di regime) contro i quali il capitalismo finanziario, la burocrazia e gl’impiegati inerti sono sempre stati spietati.

     Invece una dittatura della borghesia giansenista, con a capo Monti, sic stantibus rebus, è la medicina amara, ma per tutti salvifica. Se Monti ha l’appoggio della c.d. sinistra, potrà fare quello che a Letta (e Maroni) non sarebbe assolutamente permesso: dare una strizzatina alle masse impiegatizie inerti. Ed è meglio per tutti, per le stesse masse impiegatizie, alle quali si apre una prospettiva di vita non più infame, come oggi, ma tendenzialmente virtuosa. Fra l’altro, si potrebbero levare di mezzo, in questa fase dittatoriale, tutti i tonto-manager (o preferisci chiamarli monager? Si scrive manager, si pronuncia monager) pestatori d’acqua, con i loro corsi di formazione, le loro riunioni, le loro “convention”. La borghesia giansenista queste cose le sa benissimo, ma ha sempre sopportato, perché aveva bisogno dei tonto-manager (nonché dei truffaldini manager triccheballacche) fondamentalmente per la loro opera di mediazione nei confronti delle masse impiegatizie inerti.

     Naturalmente, la dittatura è a termine, quella di Monti non fa eccezione. Ed è per questo che dovremmo chiamarla con il suo nome: “dittatura”, e non “governo tecnico”. Perché non ci si dimentichi che è a termine.

 

 

 

 

 

 

5 novembre 2011 - h. 15.28

 

6. Per favore, risparmiateci un altro piazzale Loreto

 

Mancano 7 giorni alla caduta di Berlusconi. Le fiere sentono l’odore della paura, sono eccitate. Scrivendo a un amico, provo a immaginare una fine eroica per il Cav. Pavento che le dimissioni di Berlusconi possano aprire la strada al curiale Letta. Per fortuna in seguito Berlusconi, avendo constatato che la maggioranza non c’è più, rassegnerà le dimissioni senza avere la forza d’imporre il curiale Letta.

 

Berlusconi vorrà morire con le armi in mano, come l’amico Gheddafi? Ma con quali armi? Potrebbe morire in Parlamento, martedì, oppure potrebbe morire oggi, nel “lettone di Putin”, con Ruby Rubacuori. I romani antichi chiedevano talvolta all’amico, o allo schiavo, di tenere ben saldo il pugnale: quindi non esitavano a stringere forte l’amico (o lo schiavo), lasciandosi morire in quell’abbraccio. Non potrebbe Ruby Rubacuori essere altrettanto generosa e consentire a Berlusconi di morire fra le sue braccia, in un amplesso purificatore e riparatore? In questo caso sarebbe lui a trafiggere, sia pure per l’ultima volta.

     Nota bene: se invece Berlusconi rassegna le dimissioni, c’è il pericolo che, con la regia di Pierfurby Casini (che ha sempre aspettato questo momento), si faccia un governo guidato dal curiale Letta o dall’ “istituzionale” (boh!) Schifani. No, a questo punto, come ho già detto, meglio la dittatura della borghesia ambrosiana e giansenista, meglio Monti.

     P.S. - Speriamo che dopo la caduta di Berlusconi ci venga risparmiato lo spettacolo indegno dei pretoriani e dei berluscones che infieriscono sul cadavere. Se Berlusconi avrà scelto di morire fra le braccia di Ruby Rubacuori, o comunque di qualche puttana dal cuore buono, non mancherò di rendere omaggio alla salma. È un impegno: dovessi anche prendere l’aereo, affrontare i disagi e le spese del viaggio, dovesse anche il  mio gesto essere frainteso dai turpi borghesi e dalle sciacquette progressiste.

 

 

 

 

 

lunedì 07/11/2011 - h. 12.18

 

7. De tyranno iam labante

 

Mancano 5 giorni alla caduta di Berlusconi. Ho mandato la lettera precedente, per conoscenza, a un amico latinista. Qui di seguito, al punto 1) l’amico spera anche lui che non corra del sangue. Quanto a Monti, gli sta bene, ma vorrebbe che prima si tenessero le elezioni. Conclude affermando di Berlusconi: Chi di porcello colpisce, di porcello perisce. Il porcello è questo sistema elettorale con nomina autocratica della Minetti, del Trota ecc. Al punto 2) affermo la mia totale disistima per la classe politica attuale, la triste necessità di una crudele dittatura borghese, le colpe della borghesia, la necessità di mettere fuori gioco Montezemolo e sciacquette.

 

1) Longe acrius debacchabuntur, tyranno exstincto, servi et scorta ejus, quam adversarii, ut nos monet historia principum... Me quidem, qui eundem inde a triginta annis summum civitatis periculum existimabam, illius miserebit; tamen puto ejusdem bona, quae numquam praeter leges non congessit, publicanda esse, ut damna rei publicae illata partim saltem sarciantur. Ego quoque malo Montium, quamquam antea sunt suffragia ferenda, ut Perluscus pervideat quid sit ratione porcellorum in suffragiis jacturam facere: siquis porcello est usus, talio esto! Vale.

 

2) «Siquis porcello est usus, talio esto!»: optimum, ratio ipsa generaliter non displicet, sed barbari ad portas sunt, magno pecoris (scilicet, italicarum opum) numero potiuntur. Ut erat in senatus consulto ultimo, “Videant consules ne quid detrimenti res publica capiat”. Sed ubinam consules, ubi senatores? Sat non est, dictatore egemus qui sex mensium tempore id agat quod sit agendum, quod agendum erat. Burgenses id probe noverunt, burgenses in culpa sunt, quoniam foedus icere maluerunt cum stipendiariis inertibus et grapheocratis magnis, quam periclitari. Idem postquam in unum est redacta Italia fecerunt ergolabi septemtrionales, cum mercium commeatum qui cum Francogallis esset vetuissent, quod factum est Italorum detrimento, praesertim in Italia meridiana; scilicet semet tueri, quam periclitari maluerunt. Nulla est mora interponenda, rei publicae habenas Montius burgensis accipiat, dum stipendiariorum collegia silent, metu coacta. Post sex menses quid agendum sit videbimus. Sed sileant oportet, cum operariorum falsis patronis, omnes Joannae Melandri, omnes delicati a Monte Zemo, foricirculatores omnes sicut Scilipoti magus et medicus acupunctor, ambubaiae, mimae et histriones comici, balatrones, litteratores ignavi et quae sequuntur. Qui omnes putant omnia scire de quavis re, et clamant, clamant…  Dictatore egemus Montio, burgensi et iansenista, qui omnia scit, cum rei totius sit ille ipse, in primis, conscius, una cum paucis qui rem oeconomicam tenent (infeliciter fit ut, cum rem oeconomicam teneant, omnia iura sibi vindicent). Dummodo dictator sit, neque sub alio nomine significetur ipsius munus, nisi dictaturae (quae sit utcumque deponenda, post sex menses).

 

 

 

 

 

domenica 06/11/2011 - h. 23.56

 

8. Un programma bipartisan?

 

 

Un manifesto del ’68. Bisogna dire, però, per onestà, che questa esclamazione esisteva già prima del ’68: anzi, prima era di moda soprattutto fra i militari. Forse nel ’68 l’invito a far fuori i c…..ni fu reinventato di sana pianta. Vorrà dire che questo è un programma di purificazione bipartisan. Questa lettera spedita dall’antro abduano si trova inserita fra quelle dedicate al caso Monti, ma non parla di Monti, e non intende menomamente alludere a Monti, semmai alla classe politica attuale. La lettera è ancora indirizzata al mio amico politico non-politico.

 

Se uno mette questo manifesto in bacheca, così, senza parole, che cosa possono aver da dire? La Perlita Serra si offende? Dirà che è gravissimo?

     Pare che De Gaulle, leggendo questa scritta tracciata su un muro, esclamasse: «Un programma difficile, di proporzioni enormi!».

 

 

 

 

 

 

 

mercoledì 09/11/2011 - h. 23.20

 

9. Tutti ormai dànno il “via libera” a Monti. Così dicono, in realtà sono essi stessi “avviati”

 

Mancano 3 giorni alla caduta di Berlusconi. Questa lettera (imbucata elettronicamente dall’antro abduano, ovviamente) è stata scritta dopo aver sentito alla televisione un Eugenio Scalfari straordinariamente lucido, come ringiovanito per la gioia, che dava molto probabile la nomina di Monti e raccontava a noi poveracci le cose che si dicono nei circoli romani che contano. La buona borghesia romana, che del resto non è aliena da quella ambrosiana (purtroppo, sono alleate) dà il via a Monti. A questo punto Berlusconi, anche lui, dà il via a Monti.

 

La notizia è che il prossimo Presidente del Consiglio sarà molto probabilmente Monti. Il PdL si è spaccato, c’è un gruppo nuovo, coalizzatosi fondamentalmente intorno alla seguente idea (chiamiamola idea): “noi non vogliamo andare a casa”, come sarebbe fatale che avvenga, in caso di elezioni. Dunque faranno quel che vuole Monti, pur di non andare a casa. 

    C’è il problema dei c.d. progressisti. Intanto una parte di loro non vorrà andare a casa, proprio come i “resistenti” del PdL che intendono rimanere acculati. Poi alcuni, soprattutto quelli di madre ignota, o comunque di padre incerto, e che pertanto cercano nel potere e nel denaro una compensazione a questo loro trauma, quelli che sono di umile nascita (della quale, a torto, si vergognano), quelli che nella vita per farsi avanti hanno fatto i più turpi compromessi, ebbene questi sentiranno il fascino tutt’altro che discreto della borghesia, ribadiranno quel che nella c.d. sinistra ormai ripetono tutti oscenamente, che cioè loro sono stati sempre liberali: al massimo, come concessione a sinistra, si diranno “liberal” (altra cafonata). Insomma anche questi faranno quel che vuole Monti. Quanti? Beh, è questo il nodo da sciogliere. 

     La Lega nord è un’incognita: tutto dipende dallo stato di salute fisica di Umberto Bossi. Lo stato di salute mentale è un dato accessorio del problema, perché Umberto è ostaggio del circolo magico. Semmai, in caso di decesso, attenzione che il cerchio magico non faccia come i cinesi che fanno scomparire la salma e introducono di soppiatto un altro uomo. Il cerchio magico non vede di buon occhio Monti, per ragioni tutt’altro che nobili, non certo perché rivendicano il primato della politica, come vogliono far credere. Semplicemente, hanno paura di una nuova legge elettorale, dunque hanno paura di perdere il controllo del partito.

     In ogni caso, ci sono tutte le premesse perché si apra un periodo di dittatura della borghesia del denaro. E’ positivo? Certo che non è positivo. Ma questo non è il modo corretto di ragionare. Quando si ragiona, sempre che si voglia ragionare, occorre tenere presente: a) il fattore di scala (come fanno i fisici: se uno misura la distanza fra Lodi e Milano con il doppio decimetro non è una persona precisa: è un cretino); b) la relatività del giudizio, la necessità cioè che i giudizi siano relativi, altrimenti giudicare è tempo perso (in altre parole, bisogna stabilire una unità di misura e i parametri di giudizio: dopo di che, avendo stabilito, per esempio, che l’altezza dell’italiano medio è fra i 175 e i 177 cm, stabiliremo quanto uno sia alto o basso).

     Dunque, ragionando – sempre che si voglia ragionare – Monti è l’unica soluzione possibile, perché chi ha il potere di decidere del nostro futuro e della nostra vita vuole così. Dunque, se questa è la dittatura della borghesia del denaro, che dittatura sia. Ma a due condizioni:

 

1.

È una dittatura, perdio, e allora non dobbiamo più preoccuparci dello scandolezzamento delle Giovanne Melandri e delle Conchite de Gregorio. Le associazioni per la castrazione dei gatti nei giardini pubblici italiani possono andare a ramengo. Montezemolo: vada a rileggersi che cosa scrive di lui Romiti, e che cosa lo stesso Romiti ripete a Minoli: veda il lettore lo spezzone qui sotto riportato. Montezemolo si vergogni: e se appena avanza la pretesa di volermi insegnare qualcosa, se dalla sua bocca sento uscire la parola “etica”, peggio ancora “etica industriale”, questa volta potrei non rispondere di me stesso. La Marcegaglia faccia la calza. I giovani industriali che ogni anno si riuniscono a Capri si trovino un altro modo di fare le vacanze, ma ci risparmino le loro pensate di mantenuti d’alto bordo. Il movimento per l’ordinazione di preti gay e per la costituzione di quote fucsia negli impieghi statali faccia domanda d’iscrizione all’Associazione teosofica italiana. Vendola vada di paese in paese a fare il cantastorie, con le sue “narrazioni”, come il suo conterraneo Modugno, sempre che ne sia capace. 

 

 

     Soprattutto, il dittatore Monti non esiti un attimo a fare quella che lorsignori chiameranno “macelleria sociale”. La borghesia a suo tempo fece un accordo con le masse impiegatizie inerti e con l’alta burocrazia di Stato. Ma la borghesia non ha bisogno di costoro, non ne avrebbe mai avuto bisogno, se non fosse stata pigra, miope e ormai corrotta, tanto da vedere soltanto il proprio tornaconto immediato. Adesso però la borghesia ha la dittatura in pugno, adesso la borghesia – soprattutto quella meneghina e giansenista, bocconiana per darsi un tono – deve dimostrare che è capace di salvare l’Italia. Si tratta allora di tornare alle origini, come a suo tempo la nobiltà in Sardegna volle “torrai a su connottu”, tornare al conosciuto, considerato che la rinuncia ai privilegi del proprio Parlamento di era dimostrata una fregatura. La borghesia ambrosiana ricuperi la sua tradizione crudele e giansenista.

      Dunque il dittatore Monti non abbia pietà. La crudeltà è una virtù della borghesia giansenista. Ergo: i manager siano decimati, perché il Terrore è Terrore. Alcuni di loro, quelli che avranno dato prova di possedere le necessarie conoscenze tecniche, potranno essere reinseriti come direttori e capi ufficio, mentre la parola “manager” sarà abolita e tutt’al più conservata come insulto. Gli ingegneri gestionali siano obbligati a sedersi nuovamente sui banchi di una Università rinnovata, seria e purificata. Le facoltà delle cosiddette “Scienze della comunicazione” siano soppresse, se gli edifici che le ospitano non sono di valore, siano rase al suolo. Coloro che si occupano di marketing e pubbliche relazioni siano obbligati a registrarsi all’albo delle puttane e lenoni.

      Infine, il dittatore Monti trovi una maniera intelligente per riciclare coloro che non fanno niente o, quel che è peggio, che fanno un lavoro finto, ma consumano energia, accrescono l’entropia dell’Universo e debilitano il corpo sociale. 

 

2.

La dittatura ha un termine. Dopo sei mesi Monti se ne va. Non volevamo morire democristiani, non vogliamo morire servi dei bocconiani.

 

 

 

 

 

venerdì 11/11/2011 - h. 22.38

 

10. L’Italia e la Francia

 

Manca un giorno alla caduta di Berlusconi. Alcuni partiti nicchiano all’idea di Monti candidato premier. Sarkozy si offre di venire in Italia, per intervenire a favore di Monti. Forse il grafico qui sotto spiega molte cose.

 

 

 

Fonte: Le Figaro, Qui détient la dette italienne?

 

Forse per fare certi ragionamenti (non tutti, evidentemente) bisognerebbe tener conto di questo grafico. Per esempio, come interpretare il sorrisino di Sarkozy alla luce di questo grafico?

     Gli strateghi del PdL a Milano e le loro appendici intelligentissime (si fa per dire) provinciali e comunali (ohibò!) hanno qualcosa da dire? Come mai tutti questi “politici” si disinteressano della politica? Io, se fossi un politico lombardo, mi domanderei se c’è modo di disaggregare i termini di questo grafico, eventualmente facendo anche solo delle proiezioni, purché non a capocchia. Insomma, cercherei di capire qual è il contributo della Lombardia al debito dell’Italia: mica per altro, per decidere il da farsi. Com’è che quando si tratta di presenziare a miserabili “eventi”, dai quali si ripromettono effimera visibilità, i politici lombardi sono così ipercineticamente attivi, ma se si tratta di esprimere i giudizi che tutti vorrebbero sentire da loro, al contrario, tacciono? (Abbiamo sentito un politico ignorante come una capra che, in una trasmissione televisiva della durata di un’ora, ha continuato a intervenire sulla Gioconda di Leonardo, della quale non sapeva niente di niente, pretendendo di spiegarci come qualmente il paesaggio alle spalle della signora fosse quello di Cornate d’Adda).

     Il grafico qui sopra è confermato dalle analisi che è possibile leggere nel New York Times. Vedi: An overview of the Euro Crisis.

    E noi continuiamo a preoccuparci se il Trota, il Bossi, il Calderoli, la Stefania Prestigiacomo, la Gelmini, il La Russa abbiano cacato bene, e come, se siano contenti o se abbiano i fumi per la testa? Noi dovremmo – peggio ancora – preoccuparci dell’intelligenza bestiale e dei contorcimenti dei politicanti di piccolo cabotaggio?

 

 

 

 

 

 

sabato 12/11/2011 - h. 13.33

 

11. Purtroppo, non possiamo permetterci il voto

 

È il giorno delle dimissioni di Berlusconi. Si apre il periodo della dittatura, speriamo che dopo il lavoro sporco si possa tornare a votare (però il lavoro sporco bisogna farlo). Questa lettera è un commento all’articolo di Giuliano Ferrara L’unica soluzione è il voto.

 

Mi dispiace, questa volta non sono d’accordo con  Giuliano Ferrara. Da un lato sono contento che finalmente si prenda posizione contro l’economicismo. Vorrei anche che si ricordasse che i modelli econometrici sono praticamente gli unici modelli matematici che, pur messi a punto in Università prestigiose (a cominciare dall’Mit, Cambridge, Massachusetts), non funzionano. I modelli econometrici funzionano soltanto laddove i domini di funzione siano ben circoscritti (in parole povere, gli economisti vadano a lezione dai fisici).

    Sono altresì contento che si faccia sommessa ironia sulla Bocconi (vedi il corsivo di Veneziani Quando la democrazia si arrende alle borse). Semmai lamento che l’ironia sia troppo sommessa, la vorrei più sferzante. Bisogna demistificare, ridicolizzare il sottobosco bocconiano, se non proprio la Bocconi (che è una Università seria, questo possiamo riconoscerlo: niente che fare con la Facoltà di Scienze della Comunicazione di Bergamo, che dovrebbe essere immediatamente rasa al suolo). Troppe volte i bocconiani si sono messi al servizio degli interessi più turpi, pretendendo però per sé e per i turpi interessi un rispetto sacrale, assolutamente immeritato.

    Ciò premesso, è doveroso rendersi conto che il pallino ce l’hanno proprio loro, gli adoratori di Mammona. I bocconiani in generale sono servi di Mammona. Monti è un po’ meglio dei bocconiani, nel senso che non è l’ultimo degli appecorati a Mammona, lui semmai è un porporato, in questo sistema di potere. Ma Monti – purtroppo, o siamo costretti a dire “per fortuna”? – è in quegli ingranaggi di potere che possono decidere del nostro destino. Chi meglio di lui può dare una calmata ai suoi amichetti feneratores (che in latino significa sia “usurai” sia “finanzieri speculatori”)? Quindi, a meno che non si voglia fare veramente la rivoluzione, a meno che non si voglia rovesciare non solo la mistica dello “sviluppo economico”, ma il meccanismo stesso che presiede a quello sviluppo economico che è diventato – purtroppo – presupposto di ricchezza (ma dove sta scritto? beh, oggi le cose stanno così!), a meno che non si sia preparati a difendere con le armi un modello di sviluppo autarchico, così da renderlo impenetrabile all’aggressione delle merci prodotte in paesi dove non c’è il rispetto per i diritti umani e dove non c’è welfare, ebbene se non si è disposti alla rivoluzione, allora ragioniamo. Bene, se ragioniamo, ci accorgiamo che siamo sotto schiaffo. Se siamo sotto schiaffo, l’unica soluzione è Monti.

     Tutto quello che possiamo fare è dire: ragazzi (diciamo così, alla maniera di Bersani), non prendiamoci per le natiche (questa è un’espressione di Brancaleone). È la dittatura della borghesia, ragazzi, della peggiore borghesia. Allora: chiamiamola dittatura, e battiamoci perché tale dittatura abbia un termine, come dice la parola stessa (perlomeno, ai tempi dei romani era così). Dopo sei mesi, Monti va a casa.

    Però che senso ha accorgersi soltanto adesso che la dittatura del denaro è schifosa? Proprio adesso che la borghesia, essendo venute meno le condizioni per il patto scellerato della finanza parassitaria cogl’impiegatucci e i grandi burocrati, è costretta a fare il lavoro sporco per asportare la cancrena? È una cancrena che conosce bene, perché è stata la borghesia – quella italiana, la stessa borghesia milanese – a porre le premesse perché si sviluppasse, solo che la ciambella non le è venuta col buco. Ebbene sì, lasciamo che la borghesia faccia il lavoro sporco. Quale lavoro sporco? Dare una strizzata alle masse impiegatizie inerti. Che non è soltanto, si badi bene, una strizzata economica. Dev’essere soprattutto una strizzata ideologica. Si tratta di ridimensionare quanto basta l’ideologia consumistica e porre le basi per un sano disprezzo dei valori piccolo-borghesi. La borghesia ambrosiana torni al giansenismo, meglio la dittatura esercitata dalla borghesia giansenista (poi, però, facciamo i conti) che la bestialità e nullità culturale dell’ideologia piccolo borghese.

     La borghesia non ambrosiana si adeguerà: o non è forse vero che tutte le cose importanti, anche quelle brutte, come il fascismo, sono nate a Milano? Facciamola, dunque, quella che chiameranno “macelleria sociale”. E una volta tanto avranno anche ragione, usando quest’espressione. Si badi bene, non contro gli operai, gli artigiani, i professionisti non di regime, i giovani. Questi hanno già dato. Contro gl’impiegati. Chiamatela pure macelleria, ma l’arto in cancrena va amputato (naturalmente, si userà l’anestetico, e si metterà da parte ogni inutile zelo). Le masse impiegatizie inerti devono convertirsi a lavori utili. I miserabili tonto-manager che si occupano di marketing, nonché le troje (senza distinzione fra i tre sessi) addette alle pubbliche relazioni, vedano, se ne sono capaci, di travestirsi, di cambiare divisa. Ma che lo facciano in fretta, che si convertano ai lavori produttivi.

     Nelle Scuole palatine milanesi gli studenti salmonidi (non dovrebbe essere difficile capire perché uso quest’espressione), di profitto disonorevole, erano classificati con la tripla A, che non è quella delle società di rating: AAA significava Aptus ad Arandos Agros, “idoneo ad arare i campi”. Dunque, i tonto-manager sono avvertiti.  Poi studieremo un sistema di amnistie, se si saranno dimostrati umili quanto basta.

 

 

 

 

 

12 novembre

 

12. Berlusconi ha dato le dimissioni: il tripudio

 

Nannarella, ottantacinquenne romana, idolo di You tube commenta: «Nun ho mai bevuto ma stavorta me ’mbriaco». Conchita De Gregorio invece si dice preoccupata perché non ha sentito far nomi di donne-ministro. Buonanotte.

 

 

 

 

 

Il tema della cacciata dei mercanti dal Tempio è stato trattato da innumerevoli artisti, oltre che da Giotto (vedi sopra). Particolarmente suggestivi sono i quadri di Cecco del Caravaggio (per il movimento delle figure mercantili, e per la luce) e del Greco (per l’atmosfera onirica). Altre rappresentazioni, come quella di Palma il Vecchio o di Luca Giiordano, sono più di maniera. L’immagine che proponiamo qui sopra è tratta dal Boston Catholic Insider: non ne conosciamo l’autore, e non ha particolare pregio artistico. Ma il contenuto fa mirabilmente al caso nostro, ci sono tre personaggi maledettamente azzeccati: la ragazza a sinistra potrebbe essere una delle olgettine, l’uomo con la coppola è un personaggio imprescindibile, quando si parla di vile mercatura; infine, il personaggio in alto a destra, con la barba, è il ritratto di Eugenio Scalfari da giovane. Meglio di così non si poteva.