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27 gennaio 2011

 

Berlusconeide 

Cinque scenari per il dopo bunga bunga

 

 

 

 

 

 

Jean-Auguste-Dominique Ingres, Il bagno turco (1862).

 

 

Oggi è il 27 gennaio 2011, non so come andrà a finire la storia della quale si fa in questi giorni un gran parlare e che apparentemente riguarda Berlusconi. In realtà la storia ha per oggetto il potere. Infatti, come c’insegna il buon Karl Marx, ci sono i fenomeni, dei quali non si parla perché non se ne vuole parlare o perché non si è in grado di parlarne, e ci sono gli epifenomeni, cioè le manifestazioni che appaiono davanti agli occhi di tutti. Degli epifenomeni è molto più facile parlare, così come è più facile parlare delle maree che descrivere il fenomeno delle maree, investigarne le cause (l’antico rerum cognoscere causas). Ora a me pare che Berlusconi sia un epifenomeno, mentre il fenomeno è l’orgia del potere. Ed è il potere quel che mette in conto di discutere, naturalmente: più che l’orgia, più che Berlusconi.

     Quali sono gli sbocchi possibili di questa Berlusconeide, cioè dell’epopea della quale – apparentemente – Berlusconi è protagonista? Premesso che nessuno ha la sfera di cristallo e che la Storia talvolta – e per fortuna – ci sorprende con ribaltamenti  della rappresentazione in atto e scarti imprevedibili (per esempio, nessuno a Parigi nell’aprile ’68 aveva previsto il mitico maggio ’68), ecco tre possibili scenari, in ordine di probabilità decrescente:

a)      soluzione italiota di compromesso, con Berlusconi che passa il timone a Giulio Tremonti (o, Dio non voglia, a Gianni Letta);

b)      trionfo del blocco sociale conservatore che da tempo opera per il disarcionamento di Berlusconi;

c)      permanenza di Berlusconi al governo.

Queste sono le soluzioni prevedibili nel breve periodo. Però, in assenza di scarti della Storia, come vedremo, quando la soluzione b) non si affermasse in prima battuta, le soluzioni a) e c) sono comunque destinate a convergere nella soluzione b).

 

 

Tre scenari poco entusiasmanti, in assenza di scarti della Storia

L’analisi delle tre soluzioni qui prospettate dimostra che c’è ben poco da godere, in ogni caso. Ancora una volta, siamo costretti a sperare in uno scarto della Storia, per tanti anni atteso, sempre invocato, ma inutilmente. Attenzione però a non scaricare tutte le colpe sulla Storia. Se non è successo niente, la colpa è anche nostra. Come l’uomo venuto dalla campagna nell’apologo della Legge di Kafka (vedi il Processo), il quale non varcò mai il Portone della legge, così anche noi rischiamo di morire senza mai aver visto quello scarto della Storia. Prima che l’uomo di campagna morisse – racconta Kafka –, il guardiano volle fargli sapere che per ironia della sorte quel portone era stato sempre aperto per lui, e per lui solo. Infatti, il guardiano non gli aveva impedito di entrare, ma l’uomo di campagna era stato timido, non aveva osato entrare. Accanto, un fotogramma del film Il processo, tratto dal libro di Kafka, per la regia di Orson Welles.

Primo scenario - Ma procediamo con ordine. Nel breve periodo, la prima soluzione (a) sembra, allo stato attuale delle cose, la più probabile: il presidente Napolitano, vecchio militante comunista e con un onore da difendere, si rifiuta di fare il regista di un nuovo ribaltone, come a suo tempo fece il democristiano Scalfaro, perciò dà l’incarico di formare un nuovo governo a Tremonti. Ma questa è una soluzione inesorabilmente destinata a trasformarsi nella seconda. Tremonti è un genio, d’accordo, ma c’è da giurare che il blocco sociale conservatore gli metterà i bastoni fra le ruote, fin dall’inizio. Qui non c’è genio che tenga. Senza contare che sarà verisimilmente travolto in occasione della prima tornata elettorale. Se poi, invece che a Tremonti, l’incarico di formare il nuovo governo fosse affidato a Gianni Letta: apriti cielo! Sarebbe una presa per i fondelli, perché Letta non esiterebbe un attimo a mettersi al servizio del blocco conservatore. Sarebbe la soluzione b) presentata come se fosse la soluzione a): in altre parole, una truffa.

Secondo scenario - La seconda soluzione (b) prevede che Napolitano non trovi in Parlamento una maggioranza nell’ambito Pdl-Lega, una maggioranza che non sia sfacciatamente espressione di un ribaltone: perciò s’indicono nuove elezioni. Peccato che questa volta Berlusconi sia elettoralmente azzoppato, a causa delle recenti prese di posizione delle gerarchie cattoliche, più che per gli editoriali di D’Avanzo sulla Repubblica, più che per questo suo fare malandrino con le donne, «figure di vergini che si offrono al drago per rincorrere il successo, la notorietà e la crescita economica» (copyright della moglie di Berlusconi, in arte Veronica Lario).

     Se si indicono elezioni immediate e la cosiddetta sinistra rinuncia a dare corda a una vecchia ciabatta come Veltroni o a un personaggio di mediocre affabulazione come Vendola, ma – tanto per fare un esempio – affida la regia della campagna elettorale a uno intelligente come Santoro, il timone del governo passa ipso facto al blocco sociale conservatore. Il quale a questo punto deterrebbe tutto il potere: il potere formale, esercitato dalla cosiddetta sinistra, in rappresentanza del blocco sociale conservatore, e il potere reale, esercitato direttamente dal blocco sociale conservatore. Ricordiamo che tale blocco è costituito da:

i)       potere finanziario;

ii)      grands commis de l’État, cioè alte magistrature dello Stato e burocrazia di fascia alta;

iii)     masse impiegatizie inerti.

Sul blocco sociale conservatore si veda anche, in Testitrahus, l’articolo L’eredità della sinistra.

Terzo scenario - La terza soluzione (c), cioè la permanenza di Berlusconi al governo, oltre che improbabile, è anche – arrivati a questo punto – pochissimo auspicabile. Già di suo Berlusconi tende a essere un piacione, da sempre. Ora, con tutto quel che ha passato, qualora riuscisse a rimanere sul ponte di comando, farebbe il piacione al quadrato, tutto il contrario di quel di cui si ha bisogno. In altre parole, quand’anche apparisse trionfatore, Berlusconi sarebbe costretto a rinunciare a essere colui che finora, sempre più timidamente, ha finto di essere, il difensore degli italiani che lavorano. Il terzo Stato che aveva sperato di trovare in Berlusconi (in mancanza di meglio) un argine all’egemonia della Trimurti infame è comunque – ancora una volta, come sempre – aggiogato al carro della Trimurti trionfante, sfinito dalla stanchezza, irriso, sputacchiato. Ne consegue che, in occasione delle prossime elezioni, gli italiani che lavorano, pur negando la fiducia alla cosiddetta sinistra, non voteranno più per Berlusconi. Il timone del governo passa allora a una coalizione conservatrice costituita dalla cosiddetta sinistra e dal cosiddetto Terzo polo: dunque, molta etica affabulata, pochissima etica vissuta. Insomma, in assenza di scarti della Storia, anche la soluzione c) si riduce alla soluzione b).

 

 

Quarto scenario, con scarto della Storia e rivoluzione “copernicana”

Oltre questi tre scenari, non rimane che la prospettiva di una rivoluzione: una rivoluzione copernicana, se proprio non si vuol fare una rivoluzione di piazza, come quella che lambisce i paesi del Nordafrica. Di solito la rivoluzione la fanno i giovani. Ma il nostro è un paese invecchiato, e – quel che è peggio – è un paese invecchiato male, popolato di vecchi imbottiti di Viagra e di befane che si sottopongono a diete disgustose ed esercizi ginnici estenuanti, perché si sono messe in testa di non morire mai. I giovani sono per lo più slombati, depressi: tutt’al più – quando sono vitali – sognano di fare i piccoli manager, cioè servi e figli di puttana, o cercano le scorciatoie del Grande fratello.

     Adesso però mettiamo da parte il pessimismo. Proviamo a sognare, ma con moderazione, con juicio. Immaginiamo che finalmente la Storia voglia intervenire con uno di quei suoi meravigliosi scarti, dei quali solitamente è avara. In questo caso si delinea lo scenario d). Esso prevede, tanto per cominciare, che nell’Italia settentrionale i voti berlusconiani si riversino nella Lega nord e che sia la Lega nord, sia la cosiddetta sinistra, siano folgorate da un’improvvisa resipiscenza.

     Possiamo cioè sognare che, sia entro la Lega nord, sia entro la cosiddetta sinistra, un fuoco purificatore incenerisca la politichetta, dalla quale potrebbe risorgere la Politica. Tale processo di rinnovamento, lungi dal dar credito di nobiltà alla “società civile”, prevede un graduale, faticoso ma non impossibile e neanche troppo lento percorso di formazione di una nuova classe politica. Ed è questo, precisamente, lo scarto della Storia. In caso di rinascita della sinistra e della Lega nord, il Terzo polo, con la sua retorica patriottarda e con il suo seguito di masse impiegatizie inerti, è fuori gioco. La cosiddetta sinistra cessa di essere “cosiddetta” e torna ad essere sinistra, mentre la Lega nord si riappropria dell’eredità di Miglio, a suo tempo messo in non cale per ignobile invidia e meschini calcoli di politica politicante.

Un governo di coalizione per sconfiggere il blocco sociale conservatore - Il sogno continua: date queste premesse, nasce un governo per una nuova Italia federalista (ma sul serio), con una classe dirigente non più investita dall’alto (vedi Renzo “Trota” Bossi e Nicole Minetti), ma scelta tra i cittadini più meritevoli, più intelligenti e più preparati. Una classe dirigente che risponda idealmente alle caratteristiche che sono state messe in luce nel paragrafo 1.3 dell’articolo Qui comincia l’avventura..., in questo sito. Il nuovo governo promuove lo sviluppo economico, civile e morale dell’Italia settentrionale non meno che di quella meridionale. Anzi, il suo programma prevede che si ponga fine una volta per tutte alla questione meridionale, che sarà affrontata con rigore, in attuazione di un piano realistico di sradicamento della delinquenza organizzata e dei suoi addentellati istituzionali.

 

 

Quinto scenario, con scarto della Storia e rivoluzione sociale

Il quinto scenario nasce da un secondo sogno, un sogno questa volta audace (altro che con juicio!). Ma sognare non costa niente, e poi il sogno ormai è fatto, non rimane che analizzarlo. Tale scenario, lo scenario e), prevede che in Italia ci sia un numero di giovani molto maggiore che nella realtà, e che questi giovani siano pieni di vita, perché hanno avuto un’infanzia felice, accuditi amorevolmente da mamme non in carriera, non depresse, non schiave di chimere consumistiche (come scrive Virgilio, sarà ben triste la vita di colui che non ha conosciuto il sorriso dei genitori: cui non risere parentes…). Nel sogno i giovani sono figli di uomini veri, così autenticamente uomini che non sanno nemmeno che cosa sia il terziario stramaledettamente avanzato (marketing, pubbliche relazioni, turismo congressuale, reclutamento di c.d. risorse umane, promozione di paraphernalia ecc.). Ecco allora la scena del sogno gremita da un gruppo nutrito di giovani i quali, come per incantamento, dopo aver letto i libri che valeva la pena di leggere, stabiliscono, all’unisono, in tutta Italia, che così non si può continuare.

Cioè, i giovani dicono: basta con Maria De Filippi, basta con Alfonso Signorini (li vediamo insieme nella foto accanto), basta con i comici che diventano maîtres à penser e con i cattivi maestri che diventano comici, basta con il lavoro interinale pagato cinque euro l’ora, con la squallida prospettiva che se vuoi guadagnare di più devi farti complice di chi ti sfrutta, per sfruttare a tua volta altri più disgraziati di te. Giovani che amano la vita ma che sono pronti a morire (nel sogno) per testimoniare i loro ideali, in lotta contro i morti viventi che non hanno ideali, e che pretendono di essere vivi. Giovani che si ribellano, come i cugini del Nordafrica, perché sarà vero che in Italia si vive meglio che in Nordafrica, ma non è detto che, fatte le debite proporzioni, i giovani italiani abbiano prospettive migliori dei cugini africani. Come disse anni fa Massimo Fini, di ritorno da un viaggio in Iran: lì ho visto fanatismo, ma ho anche visto uomini; sono tornato in Italia, dove proprio in questi giorni si celebra il festival di Sanremo, ma non vedo uomini. Il sogno sfuma mentre i delegati di tutta Italia si riuniscono all’Isola Bella, sul lago Maggiore, dove si celebra simbolicamente la prima seduta della nuova Assemblea costituente. Perché l’Isola Bella? Beh, è una citazione da Piccolo mondo antico, di Fogazzaro. Si veda dal minuto 12 in poi il seguente brano, estratto dalla riduzione cinematografica del romanzo, per la regia di Mario Soldati.

 

 

Ma questo è un sogno: dunque, lasciamolo lì. Le rivoluzioni si sa come finiscono. Sappiamo com’è andata a finire l’unificazione dell’Italia, che pure fu un’idea generosa, sarebbe fin troppo facile ricordare il ’68, cominciato con le migliori intenzioni e finito com’è finito: lauree facili, laureati asini che diventano professori, occupazione violenta delle cattedre e dei posti di comando nelle istituzioni. Ricordiamo Massimiliano Fuksas di Potere operaio, il quale diventa archistar e oggi in televisione le spara grosse che più grosse di così non si può. Ricordiamo la fulgida carriera di Mario Capanna del Movimento studentesco di Milano, il quale diventa prima applicato della segreteria nella giunta Golfari nella Regione lombarda, poi si fa aedo di Arafat (senza vergognarsene), infine si trasforma in contadino anti-Ogm: contadino sì, ma presidente del Consiglio dei diritti genetici, finanziato dalle holding dell’agricoltura cosiddetta biologica (un business progressista, ma pur sempre business). Ma perché continuare? Non si finirebbe più. Inoltre si rinnoverebbe inutilmente, e crudelmente, il dolore di quanti fra i lettori hanno sacrificato la vita a ideali da altri traditi. Come ben aveva capito Fulvio Imbriani, il protagonista di Allonsanfàn, il film capolavoro dei fratelli Taviani: Fulvio diventerà traditore quando si sentirà tradito.

 

Qualche parola di spiegazione per questo spezzone, trattenendo a stento l’ammirazione che nutriamo per i fratelli Taviani. Fulvio Imbriani è un rivoluzionario, affiliato alla setta dei Fratelli sublimi. È un uomo generoso, ha sacrificato la vita alla rivoluzione. Imprigionato e torturato dai funzionari austriacanti che vorrebbero farne un delatore (siamo verisimilmente a Milano, nel 1816, anche se le immagini ci mostrano la via dell’Arena a Bergamo), viene infine rilasciato, perché i compagni pensino che ha parlato, tanto più che il capo della setta è scomparso. Infatti, Fulvio è apostrofato dai Fratelli sublimi come traditore. Fulvio dimostra la propria innocenza, portando i compagni al luogo di meditazione del capo: un fico, in prossimità del Serapeo di Villa Adriana (che però dobbiamo idealmente collocare in Lombardia). Qui il capo si è impiccato il giorno stesso. In tasca viene trovata una lettera di commiato, autentica, dove il gesto è giustificato in relazione al fallimento degli ideali rivoluzionari. I Fratelli sublimi credono nella buona fede di Fulvio, ne invocano il perdono. Ma Fulvio non vuole saperne, è gravemente malato, fugge e spera di non vedere mai più i fratelli. È solo, in procinto di morire. In uno sprazzo residuo di vitalità si ricorda di avere, anzi di avere avuto, una famiglia, alla quale si presenta sotto mentite spoglie, come un amico di Fulvio. Nella villa degli Imbriani da principio non è riconosciuto (sono passati tanti anni): da nessuno, tranne che dalla nutrice, che lo curerà amorevolmente nel corso di una lunga convalescenza. Riprendendo gusto alla vita, Fulvio si rende conto che lui, l’aristocratico che aveva tradito la propria classe per nobili ideali, si era trovato insieme a rivoluzionari per cui l’ideale era soltanto razionalizzazione e mascheramento di personalissime, e non necessariamente nobili, pulsioni. In questo spezzone, vediamo i Fratelli sublimi che si presentano alla villa degli Imbriani, travestiti da cacciatori, per intraprendere con Fulvio l’avventura di una sollevazione delle plebi nel Meridione d’Italia. Fulvio, dopo nuovi tentativi di liberarsi dai compagni che continuano a scovarlo, compirà il secondo tradimento. Questa volta tradirà i compagni. Le scene finali del film, tra i Sassi di Matera e Castel del Monte, sono di struggente bellezza, la musica (di Morricone) è sublime, in sintonia perfetta con le movenze delle scene.

 

Né con Berlusconi, né con la Trimurti

Se qualcuno non vede con entusiasmo il disarcionamento di Berlusconi e non fa i salti di gioia per il passaggio del timone al blocco sociale conservatore, di solito passa per un servo di Berlusconi: perlomeno, tale si pretende che egli sia. Siamo arrivati a questo, a doverci difendere in via preliminare. E va bene, se questi sono i rapporti di forza, non ci rimane che prenderne atto. In ogni caso, con quel che ho detto sopra, dovrebbe essere evidente che non sono appecorato a Berlusconi. Nello stesso tempo, rivendico con orgoglio l’aver votato parecchi anni consecutivi per la Lega nord, nella consapevolezza che la crescita di questo partito abbia promosso una certa paura nei partiti al servizio del blocco sociale conservatore, e che tale paura abbia impedito il peggio. Come ho scritto in questo sito, nella Lettera aperta agli amici della sinistra..., credo nell’efficacia del voto punitivo. Da più di un anno tuttavia non voto più nemmeno per la Lega nord, avendo maturato la convinzione che parecchi uomini politici di questo partito (pardon! movimento) non siano granché migliori degli altri e che la stessa Lega nord abbia perso per strada un po’ della sua spinta propulsiva. Insomma, loro ritengono di non aver ragione di onorare il mio voto, io non ho ragione di onorarli.

Per i lavoratori che lavorano - Dunque, se Berlusconi è stato al governo della cosa pubblica per tanti anni, in parte sono responsabile io stesso (io, e la gente come me, che non conosco: noi liberi pensatori siamo solitari per elezione). Eppure, non solo gli ideali berlusconiani non sono i miei, sono addirittura agli antipodi, da sempre. Se ho favorito Berlusconi, è stata la scelta di un male minore. Berlusconi, pur disattendendo in larga misura le promesse iniziali, si era schierato a favore dei lavoratori che lavorano. Si dà il caso, infatti, che la cosiddetta sinistra considerasse lavoratori soltanto i dipendenti e, tra i dipendenti, prediligesse i dipendenti pubblici. Adesso le cose sono cambiate, perlomeno a parole. Adesso la cosiddetta sinistra dice di voler bene anche a coloro che si ostinano a lavorare in proprio, barboni che pervicacemente rifiutano il ricovero in ospizio. Soprattutto, la cosiddetta sinistra si è finalmente accorta che i giovani sono sempre più spesso costretti a lavorare in proprio, e che il “lavorare in proprio” è soltanto una più o meno felice parentesi tra due periodi di disoccupazione. La cosiddetta sinistra se ne accorge adesso, dopo che sono stati costretti ad aprire gli occhi, grazie anche al voto portato alla Lega da uomini di sinistra come me.

     Dunque l’essere dalla parte dei lavoratori è stata la ragione principale per cui per parecchi anni ho dato la preferenza alla Lega nord. Non è colpa mia se la cosiddetta sinistra non è più di sinistra, e se io sono rimasto quello di sempre. Si veda in proposito Contessa, ovvero la metamorfosi della sinistra.

Contro il declino economico, morale e civile dell’Italia - La seconda ragione per cui ho votato per la Lega nord è che intendevo contrastare la decadenza dell’Italia. La sinistra, la cosiddetta sinistra, sembrava che non pensasse più alla rivoluzione delle masse lavoratrici, ma a una “rivoluzione permanente” sui generis, non in senso maoista, ma sessuale. Da un certo punto in poi si cominciò a menar vanto di qualsiasi possibile apertura in campo sessuale, si praticava la “coppia aperta”, ci si beava delle panzane scritte dallo psichiatra Wilhelm Reich, nel suo libro La rivoluzione sessuale. In un modo o nell’altro tutto ruotava intorno ai genitali, ai quali però tendenzialmente si negava la funzione generatrice, quella per cui si chiamano “genitali”, appunto. Io pensavo al sesso come a una piacevole ginnastica, tutto qui: il mos maiorum mi stava bene, non sentivo necessità di rivoluzioni, revisioni, adeguamenti. Per esempio, non trovavo ragione di compiacimento nel calo delle nascite, ma ero pressoché l’unico a esprimermi così, allora. Men che meno consideravo positivo lo sfaldamento delle famiglie: ma guai a dirlo. Ricordo una bellissima ragazza (di sinistra, anzi “de sinistra”), la quale, quando espressi il mio disappunto per il calo delle nascite e parlai di quanto si faceva in Francia per contrastare il fenomeno, spalancò gli occhioni e mi domandò: «Ma questa tua preoccupazione, non è un po’ fascista?».

     Avevo cominciato a votare scheda bianca (anzi nulla, perché scrivevo sempre qualcosa sulla scheda) ormai da un bel po’, dal tempo in cui lavoravo all’Olivetti. Avendo visto certe cose, avevo stabilito che il vaso della mia sopportazione era colmo. Io vedevo, non potevo non sapere.

Con Occhetto, la svolta verso la “cosiddetta sinistra” - C’era ancora il Pci, Occhetto aveva preso da poco il potere, profittando del ricovero in ospedale del segretario in carica, Alessandro Natta, che aveva avuto un infarto. Una congiura ignobile. Apparve chiaro, fin da subito, che Occhetto si vergognava di essere di sinistra: dopo aver rilasciato al settimanale l’Espresso un’intervista sulla sua passione nautica e sulle cerate e le scarpette che più si addicono al diportista di parte progressista, a Palermo ci rese edotti delle sue capacità di ballerino di tango, a Capalbio convocò un fotografo perché immortalasse i suoi baci ad Aureliana Alberici, la moglie che il baffuto uomo politico nomina – motu proprio – ministro-ombra dell’istruzione in un fantomatico governo-ombra che esistette soltanto nelle interviste. Un’altra sua trovata effimera fu la “sinistra dei club”, durata, come le rose, l’espace d'un matin: l’idea non funzionava, fu subito ritirata, con la stessa determinazione con cui prima si era battuta la grancassa.  Ma il capolavoro di Occhetto è l’operazione di trasformismo per la quale ritenne opportuno versare qualche lacrimuccia, alla Bolognina, nel 1989: sciolse il Partito comunista italiano, dal quale sarebbe nato il Partito democratico della sinistra (Pds), che in seguito si sarebbe tramutato nel partito dei Democratici di sinistra (Ds), il quale avrebbe promosso la lista “Uniti nell'Ulivo”, che infine sarebbe diventato Partito democratico (Pd). Scrisse anche un libro, che conservo in seconda fila nella mia biblioteca, dove racconta le delizie della vita, quando il pesce è condito con il “salmoriglio”. Infine ci venne a dire che aveva messo a punto una “gioiosa macchina da guerra” elettorale, ma la macchina s’inceppò e finalmente – nel 1994 – ebbe il buon gusto di ritirarsi dalla scena.

     Bene, a Occhetto non importava niente dei valori della sinistra, è evidente. I borghesi, anzi i non-borghesi che pretendevano di essere borghesi, magnificarono le virtù della fantomatica società civile, cioè le proprie presunte virtù. A dir la verità, ci si “buttava a sinistra” ormai da un bel po’. Però mancavano all’appello i rappresentanti, gli amministratori di condominio, i proprietari di night. Bene, con l’avvento di Occhetto, adesso erano di sinistra anche loro. A livelli un po’ più raffinati, ci si proclamava progressisti non perché la c.d. sinistra operasse per la crescita morale e civile del popolo, ma perché, in quel di Capalbio, a sinistra ci si preoccupava dell’integrità “biologica” delle marmellate (ottime quelle preparate dalla moglie di Bassanini). Insomma, se ai tempi della Repubblica di Salò i soldati intonavano “Le donne non ci vogliono più bene”, analogamente ai tempi di Occhetto (prima della “discesa in campo” di Berlusconi) la destra superstite avrebbe potuto intonare: “I borghesi non ci vogliono più bene”. Si assisteva – in parte lo spettacolo dura ancora – a un misto di farsa e di truffa. Occhetto attestava incondizionata ammirazione per Carlo De Benedetti, colui che avrebbe smembrato e distrutto l’Olivetti e con essa i posti di lavoro. Da Occhetto in poi, le cose sono precipitate. E, con lo sfaldamento della sinistra, parallelo a quello di certe gerarchie cattoliche (prima che l’attuale pontefice provasse a mettere un po’ d’ordine), l’Italia scivolava nel baratro morale.

     Spero che ne conveniate: se uno è di sinistra veramente, non potete chiedergli di votare per questa sinistra. Nei miei ricordi milanesi occupa un posto di spicco un trotzkista che votava per il Partito repubblicano: non poteva certo votare per il Pci, alleato del Partito comunista sovietico che aveva commissionato l’assassinio di Lev Trotskij.

     Perciò principiai a votare per la Lega nord. Però, considerati certi recenti sviluppi di questo partito, come dicevo, da un po’ di tempo ho ripreso a votare scheda bianca, anzi nulla. Si veda in proposito, sempre in questo sito, il Florilegio di espressioni utilizzabili per annullare la scheda elettorale, in fondo alla Lettera aperta agli amici della sinistra...

 

 

L’orgia del potere

Ma allora di questo Berlusconi che ne facciamo? Lo teniamo o non lo teniamo? L’ho detto all’inizio, il problema non è Berlusconi, il problema è il potere. E il potere tende naturalmente all’orgia, in mancanza di freni inibitori. Senza contare che il potere è seduttivo: ma questo è un discorso troppo importante per essere liquidato in poche battute, né possiamo qui approfondirlo, correndo il rischio di perdere il filo del discorso. In ogni caso, non è questo l’assunto di Salò, il film di Pasolini, la deriva del potere verso l’orgia? (Per essere sinceri, non sono mai riuscito a vedere per intero questo film, nonostante due tentativi: uno da giovane, uno abbastanza recente.) Il potere – non solo quello di Salò, o quello di Berlusconi – è intrinsecamente sopraffazione, si compiace di spezzare i vincoli della morale naturale, sostituisce il piacere sessuale naturale con il piacere innaturale dell’impunità nell’esercizio della sopraffazione sessuale.

      Ora, da quel che è ci è dato di capire, sembra che Berlusconi, che pure si è avventurato nei gironi infernali dell’orgia del potere, si sia tuttavia trattenuto, sempre all’ultimo momento, prima di precipitare, prima di perdere il senno. Cioè, Berlusconi si siede al tavolo da gioco, fa qualche mossa, si prende qualche piacere, poi però abbandona il tavolo. Rimanda le estreme conseguenze dell’orgia ad altra occasione, come trattenuto da un’improvvisa apparizione terrena di mamma Rosa. Insomma, Berlusconi non fu audace come avrebbe potuto, come postulano le regole dell'orgia del potere: ebbe rapporti sessuali quasi “normali”, come tra persone quasi “normali”. Dopo aver abbandonato il tavolo, a distanza di qualche giorno, afferrato nuovamente dalla scimmia dell’orgia, ricomincia da capo, è più forte di lui. Così, fra pulsione all’orgia, tipica dell’esercizio del potere, e apparizioni della mamma Rosa, si potrebbe spiegare la sua coazione a ripetere.

Esempi poco virtuosi dell’antichità - Le vite dei dodici Cesari di Caio Svetonio Tranquillo abbondano di episodi al cui confronto le imprese berlusconiane sembrano passatempi innocenti. Cominciando dal primo dei Cesari, Caio Giulio Cesare venne chiamato omnium mulierum vir et omnium virorum mulier, marito di tutte le donne e moglie di tutti gli uomini. Tiberio a Capri faceva il bagno con frotte di ragazzi, che lui chiamava i suoi pisciculi, i “pesciolini”: pueros primae teneritudinis, quos pisciculos vocabat, instituit, ut natanti sibi inter femina versarentur ac luderent lingua morsuque sensim adpetentes (non oso tradurre) Quanto a Nerone, dapprima prese come moglie legittima un ragazzo, un certo Sporo, che aveva fatto evirare (exectis testibus, in mulierem naturam tranfigurare conatus, “gli fece recidere i testicoli, per trasformarlo in donna”), poi rivolse le sue attenzioni al liberto Doriforo: sicut ipsi Sporus, ita ipse denupsit, voces quoque et heiulatus vim patientium virginum imitatus, “gli si unì in matrimonio assumendo la parte di moglie, come aveva fatto Sporo con lui, arrivando a imitare le grida e i gemiti delle vergini quando vengono deflorate”.

Mussolini - Volendo assumere un termine di riferimento più recente, viene naturale il confronto di Berlusconi con Mussolini, il quale quotidianamente consumava congressi carnali con contadinotte adoranti, sempre nuove. Loro, le contadine, scrivevano da ogni parte d’Italia, volevano incontrarlo: Quinto Navarra – il fedele capo dei commessi di Palazzo Venezia – filtrava le lettere e gestiva l’ingresso nella Sala del Mappamondo della favorita del giorno, alle cinque in punto. Il rapporto veniva consumato in cinque minuti: Mussolini in piedi, la contadina riversa sulla scrivania. Non più di cinque minuti, perché il duce aveva da lavorare. Nella foto accanto, la Sala del Mappamondo, volutamente semivuota, con la scrivania in fondo per chi entra, in un angolo, per un acconcio “effetto mistico”. Per un confronto fra Mussolini e Berlusconi, si veda G. Cassini, Gli anni del declino. La politica estera del governo Berlusconi, prefaz. di Furio Colombo, Bruno Mondadori, Milano 2007; in particolare si veda il cap. 8: “Berlusconi = Mussolini?”.

Bill Clinton - Un esempio ancora più recente ci viene da Bill Clinton, colui che faceva un uso improprio del sigaro sul corpo di Monica Lewinsky. Ma non mi sembra il caso di perdersi in particolari. Semmai, suggerisco la lettura dell’ottimo libro dell’antropologa Ida Magli, Sesso e potere. La gogna della Santa inquisizione multimediale, Bompiani, Milano 1998. Trascriviamo dalla presentazione del libro: «… la democrazia che, spinta al limite estremo, divora se stessa e chi l’incarna compiendo un vero e proprio regicidio in un delirante bisogno di purezza da raggiungere tramite una sorta di espiazione mediata ma collettiva. Il sesso come male; la menzogna come peccato inespiabile. […] Un saggio che, prendendo spunto da un grande fatto di cronaca, diventa un mirabile attacco contro la giustizia-spettacolo a livello planetario, l’ipocrisia dei sepolcri imbiancati, la morbosità di chi si dichiara puro». Il libro può essere letto in rete facendo clic sul collegamento ipertestuale: Sesso e potere.

 

 

Conclusione del ragionamento

Il ragionamento potrebbe continuare, presentando tutti i passaggi che conducono alla conclusione. Ma sto scrivendo un articolo per Internet, non sto scrivendo un libro. A costo di apparire precipitoso, mi affretto alla conclusione. Alla domanda “Una condotta privatamente “immorale” (diciamo così) è rilevante sotto il profilo politico?”, laicamente rispondo “No”.

     D’altra parte, conoscete qualche storico che se la sentirebbe di esprimere un giudizio politico sull’operato di Mussolini usando la ginnastica ch’egli faceva alle cinque del pomeriggio nella Sala del mappamondo come argomento probante? Trattandosi di Mussolini, il giudizio politico non dovrebbe semmai prendere le mosse da iniziative politicamente ed eticamente vergognose come le leggi razziali e la proditoria dichiarazione di guerra a una Francia ormai in ginocchio?

      Analogamente, di Clinton vogliamo ricordare il sigaro impugnato impropriamente, o l’indifferenza dimostrata per il genocidio in Ruanda?

 

Ponte costruito da Cesare sul Reno, nel 55 a.C., in appena dieci giorni (tela di John Soane, 1814). I costumi sessuali di Cesare erano – pare – riprovevoli, ma il giudizio degli storici sulla politica e sulle imprese militari di Cesare prescinde sia dalla morale privata di Cesare, sia dalle voci che pubblicamente correvano sul suo conto.

 

 Infine, nel giudizio che formuliamo su Cesare ha senso considerare, che so io, il primo triumvirato, la spedizione in Germania con la costruzione del ponte sul Reno ecc., o la liaison che ebbe con Nicomede, re di Bitinia? (I legionari, celebrando il trionfo di Cesare sui Galli intonavano divertiti: Gallias Caesar subegit, Nicomedes Caesarem: ecce Caesar nunc triumphat / qui subegit Gallias, Nicomedes non triumphat qui subegit Caesarem, cioè “Cesare ha sottomesso le Gallie, ma Nicomede ha messo sotto lui. Oggi trionfa Cesare che le Gallie ha sottomesso, non trionfa Nicomede che ha messo sotto lui”).

 

I quattro piani del giudizio - Riassumendo, a me sembra che Berlusconi possa essere giudicato (come tutti noi, del resto), ma che bisogna tenere separati questi piani:

   Sul piano penale, Berlusconi è sanzionabile, se ha avuto rapporti con minorenni: ma è compito dei giudici valutare gli argomenti ed, eventualmente, le prove, stabilendo che cosa sia penalmente rivelante. Non può e non deve essere compito nostro. Noi tutt’al più possiamo, insieme con Barbara Palombelli, coltivare qualche dubbio «sull’innocenza violata della protagonista [Ruby Rubacuori], che sarebbe il punto di partenza su cui è basata l’inchiesta milanese». Le questioni di alcova berlusconiana non ci appassionano. Se proprio abbiamo bisogno di letture pruriginose, sfogliamo le Vite dei dodici Cesari, cit., o anche la Satyra sotadica de arcanis Amoris & Veneris, di Aloisia Sigea (chi non sa il latino non sa che cosa perde: altro che sbavare dietro le storie del drago e delle “vergini” di via Olgettina!).

   Sul piano della morale privata, ognuno la pensi come vuole. Personalmente più che il peccato, mi sentirei di condannare – nello specifico – il “modo del peccato”. Mai e poi mai mi verrebbe in mente di peccare come Berlusconi pecca, quand’anche me lo potessi permettere. Peccherei in maniera diversa, con ragazze diverse, o forse non peccherei affatto, perlomeno carnalmente, data l’età. Ma questa è la mia morale privata, non pretendo di imporla agli altri. Aggiungo un’altra considerazione, del tutto personale. È politicamente scorretto dirlo, lo so, ma proprio per questo lo dico: mi sembra che in ogni caso i peccati di Berlusconi, come quelli di Clinton e di Mussolini, siano stati consumati in una cornice eterosessuale. Voltaire, che pure occasionalmente frequentò altri piaceri (con Federico ii di Prussia), ritenne doveroso scrivere che l’inclinazione omosessuale dev’essere considerata un «vizio distruttore del genere umano, se diventasse universale». Anche se poi si domandava: «Com'è che [tale] attentato infame contro l’ordine della natura, sia peraltro così naturale?» (Dizionario filosofico, alla voce “Amore cosiddetto socratico”). Bene: Berlusconi ha molto peccato, ma non sotto questo rispetto. Almeno questo dobbiamo concederglielo (ma proprio questo sarebbe il vero peccato che si imputa a Berlusconi, soggiunge maliziosamente Giuliano Ferrara).

    Sul piano della pubblica morale, una lettura ingenua delle cronache ci porterebbe ad affermare che Berlusconi è riprovevole, se non altro perché offre un cattivo esempio, proprio lui che ricopre il ruolo di capo dell’esecutivo, dal quale ci si attende tutto il contrario, cioè il buon esempio. Obiezione: ma lui questi bunga bunga se li faceva in privato, non è stato lui a mettere tutto in piazza. Contro-obiezione: Berlusconi sapeva benissimo di avere nemici pronti a tutto, doveva stare più attento. Senza contare che per il numero di “signore addette alle pubbliche relazioni” (diciamo così) da lui frequentate, per la loro qualità e per il modo con cui le ha incontrate, Berlusconi si è esposto al rischio di essere ricattato. Questo non sta bene. Come si vede, sto accusando Berlusconi di non essere abbastanza ipocrita e di non essere stato abbastanza cauto. Che intendesse questo Voltaire, quando affermava «Se Dio non esistesse, bisognerebbe inventarlo»? (Si Dieu n’existait pas, il faudrait l’inventer: cfr. Epître à l’auteur du livre des Trois imposteurs, scritto nel 1768 in risposta al Tractatus de tribus impostoribus). Però, ripeto, almeno Berlusconi ha “peccato” in proprio, non ha mai fatto apologia di dissolutezza venerea. Pensate invece a Cicciolina e a quel che ostentatamente faceva in pubblico: orinava in palcoscenico e la chiamava “pioggia dorata”; sempre sul palcoscenico si infilava oggetti vari (anche un serpente, si legge) negli orifizi naturali; per giunta affermava che era bene fare così. Venne eletta in Parlamento, ma se qualcuno scuoteva la testa, veniva accusato di essere un bacchettone. Insomma, c’era stata una “rivoluzione sessuale”: di che ci lamentiamo? In fondo, a ben vedere, il Berlusconi privatamente scatenato è vittima del clima di liberazione sessuale vigente negli anni del suo apprendistato giovanile. Un clima che la vera sinistra si è ben guardata dal promuovere, ma che è stato il cavallo di battaglia della cosiddetta sinistra, allora nascente.

   Sul piano politico, Berlusconi ha promesso di tenere a bada il blocco sociale conservatore. Ha anche fatto qualche fuoco di artificio, ma nel complesso è stato deludente. Parole tante, fumo a profusione: ma di arrosto c’è stato ben poco. Ha fatto il bau-bau, e neanche sempre, solo a tratti, ma non ha mai preso il toro per le corna. Infatti, più che altro, ha sempre voluto fare il piacione. Dove sono le riforme? Qualcosa si è visto, a dire il vero: qualcosina, sì. Per esempio, si dà credito a Tremonti di aver tenuto a freno la spesa pubblica. Forse la riforma della scuola è meno brutta di quel che sembra, in ogni caso quello che abbiamo è il massimo che si potesse ottenere da un Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca come la Mariastella Gelmini: una che è di Brescia ma va a prendere l’abilitazione all’esercizio della professione (di avvocato) a Reggio Calabria, a 1233 km di distanza (proviamo a indovinare perché). Due ministri – Tremonti e Maroni – hanno operato bene, Sandro Bondi ha il difetto di scrivere poesie ma non è quell’infamone che dicono, Frattini, La Russa e Alfano sono capaci. Però la Carfagna e la Prestigiacomo fanno le maestrine, la Brambilla si agita troppo e per nulla, Galan e Calderoli sono due smemorati, pur non essendo di Collegno. In generale, la preparazione politica e culturale degli uomini al governo lascia parecchio a desiderare. Soprattutto: a) il governo Berlusconi non ha sgretolato significativamente i fortilizi occupati dal blocco sociale conservatore; b) non ha creato le premesse per una rinascita economica, civile e morale del popolo italiano. In soldoni: Berlusconi si è disinteressato degli italiani migliori, è naturale che i migliori fra gli italiani si disinteressino di lui. I migliori fra gli italiani fanno un discorso politico, i discorsi sulla morale privata e pubblica (più che pubblica, pubblicizzata) li lasciano ai sepolcri imbiancati.

 

Leon-Auguste-Adolphe Belly, Interno di un harem, 1865.