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  L’eredità della sinistra: un’occasione per la Lega nord

  da non mancare

 

Nota: questo articolo è stato scritto all'inizio del 2010, quando la Lega nord dava i primi segni di avvitamento nell'esoterismo del Circolo magico, nella deriva familistica amorale che avrebbe portato alla candidatura pilotata del Trota, nel piccolo cabotaggio assessorile. È l'invito di un uomo di sinistra, che fino al 2009 ha votato per la Lega nord, in funzione punitiva contro il tradimento della c.d. sinistra, rivolto alla Lega nord perché non perda di vista il suo radicamento sociale.

 

 

Ci fu un tempo in cui la sinistra era tutta per i lavoratori, e non “anche” per i lavoratori, giusto quel tanto che basta per racimolarne i voti, avendo in mente altre e (secondo lorsignori) più nobili occupazioni e interessi da tutelare. Un tempo in cui la sinistra non si schierava con finti industriali, in realtà finanzieri, come de Benedetti, in cui non plaudiva a un presidente della Repubblica come Ciampi che fa visita alla Banca d’Italia, sente l’odore dei soldi e piange per la commozione, un tempo in cui la sinistra era indifferente al politicamente corretto e ai matrimoni tra cosiddetti gay, che a quel tempo si chiamavano “invertiti” (v. Pajetta). Ma se la sinistra non ha più a cuore i lavoratori, qualcuno dovrà raccoglierne l’eredità. Bene, posto che la sinistra si disinteressa dei lavoratori, la Lega nord è l’erede naturale e legittimo della sinistra. Questa è la tesi che ci proponiamo di dimostrare.

 

 

Il furore di correttezza politica

La sinistra, sequestrata dai poteri forti e amministrata da uomini senza passione politica, al posto della quale hanno introdotto l’indignazione, è oggi intignata nei riti e nei luoghi comuni del politicamente corretto. Lorsignori non ragionano. Se si tratta di schierarsi con i lavoratori, pare che non abbiano tempo. Al massimo vanno con le telecamere di Santoro a riprendere quelli che, disperati per la prospettiva di perdere il posto di lavoro, salgono sui tetti delle fabbriche: fanno spettacolo, in fondo questo è quel che conta. La rimozione delle cause del dissesto economico solitamente li lascia indifferenti. I poveri cristi che un lavoro non ce l’hanno  e che, ridotti allo stato di “bamboccioni” slombati, invecchiano perdendo la speranza di averne mai uno, questi gl’interessano molto meno. Profondono invece energie inesauribili nell’indignazione: per esempio, allorché Berlusconi appare “utente finale” della signora D’Addario.

    Hanno costituito, questi signorini progressisti, come un’Accademia del politicamente corretto: brandiscono i proclami di quell’Accademia come clave e in forza di questi pretendono di dominare l’Italia.  In attesa che Bersani metta in riga i dirigenti del suo partito, almeno quelli, se mai ci riuscirà, noi qui dichiariamo che il nostro ragionare e il nostro agire saranno improntati a criteri di stretta razionalità e aderenza alla realtà delle cose, prescindendo deliberatamente da ogni considerazione di politicamente corretto. La strada del resto ci è stata tracciata dal milanese Alessandro Verri il quale, infastidito dall’eccessivo formalismo della cultura del tempo, scrisse nel 1756 un pamphlet dal titolo Rinunzia avanti notaio degli autori del presente foglio periodico [“Il Caffè”] al Vocabolario della Crusca.

 

 

La sinistra abbandona i lavoratori e crea un vuoto nella politica italiana

Ci fu un tempo, dicevamo, in cui la sinistra era ancora la sinistra dei contadini, degli artigiani e degli operai. Gli impiegati, cioè il terziario (nonché il “quartario”, sbeffeggiato dal grande Luciano Bianciardi, del quale Aristide è una pallida imitazione) dovevano prenderne atto, ben si guardavano a quel tempo dall’accampare pretese egemoniche.

    Poi però il Partito comunista partorì i “miglioristi”, per lo più di rito ambrosiano (un rappresentante di spicco dei miglioristi, ma di rito romano, è stato l’attuale presidente della Repubblica italiana): ostentavano la valigetta ventiquattr’ore, stile James Bond, e intrattenevano rapporti assidui con Mammona, cioè con le banche. Venne anche Berlinguer, uomo peraltro onesto e di nobile prosapia sardo-catalana, uomo quant’altri mai alieno dalla società dello spettacolo, e da molti di noi rimpianto, almeno per questo (fra parentesi: sulla scia di Berlusconi, che in queste cose è maestro, alla società dello spettacolo indulse non poco Veltroni; Franceschini nell’uso dei mezzi di comunicazione scivola nel patetico).

 

 

Un blocco sociale che non lascia presagire niente di buono

Purtroppo con Berlinguer si consumò l’abbandono della politica, ci si tuffò a corpo morto nel mare incerto e adulterato dell’etica. Per farla breve, la sinistra divenne il garante di un blocco sociale tuttora operante, nel quale convergono queste tre componenti:

  a)    le schiere impiegatizie inerti, le quali forniscono la massa critica elettorale e postulano in cambio il mantenimento dello status quo, per quel che riguarda, in particolare, il mantenimento dei loro posti di lavoro e di tutto l’apparato procedurale, tutt’al più da aggiornare con deleteri e truffaldini corsi di formazione;

  b)    l’alta burocrazia di Stato (come, per esempio, quella della Banca d’Italia), che fornisce la cornice di legittimità al sistema di regole preposte al funzionamento dei gangli del potere, così da garantire il massimo vantaggio per il blocco sociale, ricevendo in cambio grandi soddisfazioni in termini di estensione della propria libertà di manovra;

  c)    la finanza parassitaria (come quella di Carlo de Benedetti) e l’industria privata assistita (tipicamente, la Fiat), le quali forniscono le indicazioni di massima a priori, nonché l’ideologia – a posteriori – per la tutela degl’interessi consolidati di tutto il blocco sociale, ricevendo in cambio un trattamento economico di assoluto favore.

 

La Lega nord, erede – più che costola – della sinistra

Ed è così che è maturata fra gl’italiani che lavorano, già prima della stagione di terrore che prende il nome dalle “mani pulite”, l’ipotesi di confluire nella Lega nord. D’altra parte l’operazione “mani pulite” fu fondamentalmente un aggiustamento dei rapporti di forza all’interno di quel blocco sociale, in particolare fra la seconda e la terza componente.

    Mentre la sinistra si trastulla nei salotti, flirta con Montezemolo e si appiattisce nell’ideologia degli usurai, milioni di uomini e donne in tutta Italia approdano fiduciosi alla Lega nord: in occasione dell’elezione della Camera dei Deputati, nell’aprile 2008, i voti raccolti dalla Lega nord sono 3.024.758. Si dice di solito che chi vota per la Lega è rozzo, ignorante e trinariciuto (trinariciuti erano tipicamente i comunisti disegnati da Guareschi: la terza narice serviva per dar sfogo ai fumi del cervello). Ma non è vero, il fatto è che molti ancora oggi hanno paura a far sapere che votano per la Lega.

    Gli elettori della Lega sono molto migliori di quei ragazzotti della Bassa bresciana, mostrati nella trasmissione televisiva Anno zero da un Santoro gongolante: ragazzotti bevuti e chimicamente alterati, obiettivamente un po’ repellenti. Uno di loro proclamava odio nei confronti degli africani e degli ebrei. La prima reazione – la mia reazione – è stata: che schifo! La seconda reazione, quella di assimilare questo ragazzotto bevuto a Lacombe Lucien, il protagonista di un bellissimo film di Louis Malle, dedicato a un diciassettenne collaborazionista, uno che se la faceva con i nazisti nella Francia occupata. Un poveraccio che gode del potere che si trova improvvisamente fra le mani, mentre tutto va in sfacelo: abusa di una ragazza ebrea, ma se n’innamora, poi finirà fucilato dai partigiani. Ma a Santoro, che è più bravo e più intelligente di noi, non venne in mente di fare questo confronto, non pensò al virgiliano rerum cognoscere causas. Gl’interessava far propaganda.

    Come esempio di quel che possono essere gli elettori della Lega nord, mi piace ricordare quel mio amico canadese, grande grecista e profondo conoscitore degli “scoli” di Omero: il quale, quando ebbe la cittadinanza italiana, non esitò un istante a votare da quella parte. Però mi pregò di non farne parola in giro, perché questa sua predilezione politica nell’ambiente accademico avrebbe potuto recargli qualche noia. Testimonianze come queste nello studio di Santoro non si sentono.