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23 marzo 2010 Lettera aperta agli amici della sinistra che votano LegaEsortazione a votare scheda nulla
Siamo alle solite: i signori della politica prima fanno di tutto per disgustarci, poi ci raccontano e ci fanno raccontare (da giornalisti e politologi) che se ci astenessimo dal voto sarebbe la catastrofe. E perché mai? Non è forse dimostrato che gli italiani che lavorano, quelli che lavorano davvero, e che lavorano onestamente, continuano a rimanere al palo? Il voto non incide sul destino della brava gente, semmai inciderà sul destino delle clientele politiche. Ma poiché noi non mangiamo alla loro greppia, noi siamo fortemente tentati di punire i partiti ai quali, turandoci il naso talvolta, abbiamo, nonostante tutto, dato il nostro voto. Al solito, vorrebbero intimorirci, evocando lo spettro dei cavalli cosacchi che si abbeverano alle fontane di piazza San Pietro, o qualcosa del genere. Noi invece ragioniamo. E poiché ragionare è anche un po’ calcolare, come del resto è negli auspici del programma filosofico di Leibniz, ci domandiamo quali indicazioni di voto possano nascere da un ragionamento induttivo di tipo bayesiano (torneremo in seguito su questo argomento, sia pure di sfuggita). O il giuramento della pallacorda o i barbari, o il diluvio Intanto questa lettera è rivolta non a tutti, ma a una fascia di elettori ristretta, anche se non esigua e soprattutto non irrilevante, per la qualità del loro intelletto e per la generosità dei loro sentimenti, nonché per il ruolo attivo che svolgono, nonostante tutto, nella produzione dei beni e servizi. Proprio in virtù di questo ruolo rivendicano un’assunzione di responsabilità e un riconoscimento istituzionale nella ricostruzione di un’Italia sempre più slombata. Sono gli italiani che hanno votato a sinistra per un tratto della loro vita, quando la sinistra era una cosa seria, quando c’era la passione politica e l’ignoranza era un male da curare, quando l’aziendalismo era considerato quel che è (cioè una manifestazione di turpe servilismo), e l’ambizione era una lue da curare con potenti iniezioni di dolorosi farmaci mercuriali. Altri cittadini, appartenenti a questa cerchia di benemeriti, non hanno mai votato a sinistra perché non hanno fatto in tempo a conoscere una sinistra seria. Tutti costoro indistintamente, “volgo disperso che nome non ha”, pur con esperienze diverse, costituiscono l’ultima speranza di salvezza interna per l’Italia, dopo di loro non rimarrà che giocare la carta dei barbari. E se non ci riusciranno i barbari, sarà il diluvio. Vedi Kavafis: «E ora, che sarà di noi senza i barbari? / Loro erano comunque una soluzione». Questi italiani sono stati ignorati, zittiti, all’occasione calpestati. Saranno loro i protagonisti di un nuovo “Giuramento della pallacorda” prossimo venturo? Gente che è di sinistra non perché, grazie al fuoco di copertura dei sindacati, si è ricavata un posto di lavoro fisso e garantito, del quale non intendono rendere conto a nessuno, non perché a sinistra si fa carriera (soprattutto nelle istituzioni), ma perché è gente che sa, o intuisce, che è “di sinistra” la speranza in un mondo giusto, un mondo “scientifico”, senza però lucette tecnologiche, un mondo tendenzialmente felice, senza tuttavia soverchie illusioni buonistiche e di stampo roussoviano sulla natura dell’uomo.
Il Giuramento della pallacorda, di Jacques-Louis David (disegno a penna e bistro; Parigi, Museo del Castello di Versailles). Il disegno rievoca la storica giornata del 20 giugno 1789, quando i rappresentanti del terzo stato – cioè i ceti produttivi: 25 milioni di persone, fra borghesia, contadini e operai – riuniti nella Sala della pallacorda del palazzo di Versailles, giurano di dare una Costituzione alla Francia e proclamano l’Assemblea Nazionale, attribuendosi il potere esclusivo di legiferare in materia fiscale.
Leghisti sì, ma senza le ampolle del dio Erídano Per ragioni che sarebbe lungo elencare e analizzare in questa sede, i partiti che pretendono di essere gli eredi della tradizione di sinistra hanno svenduto quell’eredità alle classi improduttive del paese: impiegati inerti, manager perniciosi per la tenuta economica dell’Italia, falsi industriali (in realtà percettori di commesse statali), borghesia di Stato, professori saliti in cattedra grazie a meccanismi di cooptazione poco trasparenti e poco meritevoli, finanzieri come Carlo De Benedetti, che avendo comprato la Repubblica, hanno potuto permettersi di affondare l’Olivetti senza che nessuno muovesse un dito ecc. Contestualmente allo snaturamento della sinistra consumato platealmente da Occhetto, quando in Italia settentrionale si è profilata la possibilità di votare per la Lega nord, molti italiani di sinistra hanno orientato il proprio voto a favore di questo partito. Dapprima alla spicciolata, quasi vergognandosi del “tradimento”, poi con piglio sempre più deciso. Anche perché era sempre più evidente che i traditori della sinistra erano proprio loro, i partiti cosiddetti “di sinistra”. Ne sapevano qualcosa gli operai metalmeccanici di Sesto San Giovanni, abbandonati al loro destino da una sinistra che non aveva nessuna prospettiva di sviluppo industriale se non quella appiattita sulle strategie di sviluppo (personale) di Carlo De Benedetti: strategie che prevedevano l’iniezione di massicce dosi di elettronica Olivetti nel sistema industriale italiano. Le banche che avevano calcolatori IBM ne acquistarono di nuovi, marca Olivetti, poi tornarono all’IBM, o anche ad altre marche. E nessuno ebbe dei rimpianti. Era un’elettronica stracciona, quella dell’Olivetti, come si ebbe modo di capire in seguito. Ed è così che Sesto San Giovanni, città operaia, roccaforte storica della sinistra italiana, la “Stalingrado d’Italia”, fu governata per un buon tratto di tempo da Lega nord e Forza Italia insieme.
Certo, agli operai di Sesto importava ben poco del dio Belanu (o Belenos), divinità protoceltica: si veda la vignetta qui sopra, tratta da un fumetto di Asterix. Ed erano poco inclini a commuoversi davanti al rito delle ampolle contenenti l’acqua del fiume Erídano, agitate come se contenessero il sangue di San Gennaro. La Lega era un partito (anche) di operai, proprio nel momento in cui alla sinistra ufficiale (e sempre più abusiva) gli operai, apparentemente, cominciavano a fare schifo. Anche noi lavoratori autonomi, professionisti e intellettuali non di regime, in attesa del giorno in cui avremmo stretto tutti insieme, la parte migliore dell’Italia, il nuovo Giuramento della pallacorda, fummo felici che le nostre schede si mescolassero nell’urna elettorale con quelle degli operai e dei lavoratori veri, con la stessa indicazione di voto.
Segnali d’involuzione nella Lega nord Oggi però si registrano nella Lega nord alcuni segnali di involuzione. Non che la situazione sia disperata: per il momento riguarda soltanto alcune realtà circoscritte, ma occorre intervenire subito, prima che il male si propaghi e la situazione incancrenisca. Ciascuno di noi ha ben presente questo o quel caso, più o meno eclatante. Bene, bisogna evitare che la somma di questi casi singoli faccia massa. A titolo di esempio, presentiamo nella scheda qui sotto il profilo di due candidati che la Lega avrebbe potuto risparmiarci: il primo è quello del figlio di Umberto Bossi, detto “il Trota”, candidato a Brescia; il secondo è quello di Roberto Pedretti, candidato a Bergamo. Il profilo del Trota è rilevante sul piano simbolico (e non è poco). Il profilo del Pedretti è rilevante nella sostanza, dal momento che Pedretti rappresenta – purtroppo non soltanto simbolicamente – un’istanza di prassi politica in contraddizione con il ruolo propulsivo che la Lega potrebbe svolgere nell’immediato futuro. Con l’iniziativa dell’ispezione alla cosiddetta “moschea” di Curno nel momento di celebrazione del culto collettivo, Pedretti ha rischiato di precipitare il paese, del quale nell’ottobre 2009 era vicesindaco, in una grave situazione di conflittualità sociale. Perché poi? Perché lui aveva voglia di agitarsi. I dati riportati nella scheda, pur nella loro essenzialità, sono più che sufficienti per giustificare il giudizio negativo dal quale discendono le considerazioni del seguito di questo articolo.
Punire la Lega nord nell’urna (è per il suo bene) Per determinare una battuta d’arresto nel processo involutivo della Lega non c’è che una strada: penalizzarla nell’urna elettorale. La Lega ha voluto candidare in regime autocratico (peraltro perfettamente legale, purtroppo) il Trota e il Pedretti? Ebbene, noi non soltanto eviteremo – nella “gabina” (così dice Bossi) elettorale – di designare questi due candidati come degni di rappresentarci, ma non voteremo nemmeno per la Lega che li ha candidati. Grande è infatti il valore del voto punitivo, com’è argomentato nell’articolo Per la razionalità del voto politico, che presenta un metodo di analisi delle motivazioni di voto e di inferenza cosiddetta “bayesiana” della preferenza di voto. Senza entrare nei dettagli logico-matematici dell’articolo, sarà sufficiente osservare che in base a «un atteggiamento razionale, e non confessionale, il “voto punitivo” è un’opzione non solo legittima, ma talvolta obbligata: se l’ipotesi di voto a favore di un partito X ha un riscontro empiricamente fondato di probabilità inferiore al 50%, se cioè l’affidabilità di X è inferiore al 50%, l’elettore può votare per il partito Y – eventualmente anche nel caso in cui l’affidabilità di Y sia inferiore a quella di X – in modo da dare al “proprio” partito l’indicazione della necessità di correggere la rotta. Un voto punitivo nei confronti del partito X, a favore di un partito Y, non è meno efficace di un voto ordinario di preferenza. Quando il voto punitivo supera una certa soglia, all’Ufficio studi del partito X dovrebbero accorgersene. Se non se ne accorgono, il voto punitivo è doppiamente meritato». Analogamente, uno potrebbe calcolare la probabilità di ricevere un danno votando Y per punire X e, nel caso, pervenire alla conclusione di non votare né per X né per Y. Questa è la conclusione alla quale siamo pervenuti, ragionando bayesianamente, in relazione alle elezioni regionali 2010. Senza perderci nella selva dei coefficienti di valutazione e nelle formule dell’articolo sopra menzionato, il ragionamento può essere riassunto e semplificato in questi termini:
questa volta voto scheda bianca, o nulla.
Come annullare la scheda Valentino Parlato ha scritto recentemente sul Manifesto (che loro scrivono con la “m” minuscola, perché così volle il grafico Maoloni) che lui voterà scheda bianca, dal momento che non si riconosce in nessuna delle opzioni presenti nella scheda elettorale. Sostiene altresì che votare scheda bianca è meglio che astenersi dal voto: infatti, chi si reca a votare e fa cadere nell’urna una scheda bianca, indica comunque la volontà di partecipare, ancorché frustrata dal sistema dei partiti. Il ragionamento non fa una grinza. Ma ancor meglio, a parer nostro, è votare scheda nulla, per due ragioni: la prima è che si evita che qualche furbetto faccia sulla nostra scheda un segno dove vuole lui; la seconda è che se annulliamo la scheda scrivendo o disegnando qualcosa che avremo meditato con cura – tanto più se pertinente alla campagna elettorale – avremo fatto un utile esercizio mentale. (Molto meglio che comprare quei rompicapo elettronici che dovrebbero servire ad allontanare lo spettro della demenza senile. È dimostrato che rincitrulliscono quelli che nella vita fanno sempre la stessa cosa, quelli che “applicano le procedure”. Se invece ragioniamo per trovare un frasetta acconcia da scrivere nella scheda, è tutta salute per gli anni a venire: senza dimenticare, tuttavia, che senectus ipsa morbus est, con buona pace dei vecchietti dopati di Viagra). A titolo di esempio, riporto nella tabella seguente alcune espressioni in predicato di esser trascritte nella mia scheda elettorale. Ancora non ho deciso quale. È evidente, l’elenco riflette le mie predilezioni e doglianze personali, in particolare il mio sconcerto per la laidezza culturale della classe politica che pretende di rappresentarci. La quale, a monte, è stata cooptata dai partiti, in regime autocratico, cioè senza consultare i propri iscritti. Già, i partiti ci dicono: “Tu elettore, vuoi la caramellina rossa, o preferisci quella verde? Tu scegli il gusto della caramella, ma la qualità della caramella, cioè la sua schifezza, la scegliamo noi”. Oddio, ci sono anche (per fortuna) le eccezioni. Ma il punto è che la qualità dovrebbe essere la regola. Quando la Fiat mise in circolo una serie di vetture Lancia Dedra il cui abitacolo diventava una camera a gas, fu poi costretta, a seguito di un’azione legale promossa da Altroconsumo, a risarcire gli acquirenti. Chi risarcirà noi elettori delle scelte sciagurate compiute dai partiti?
Florilegio di espressioni utilizzabili per annullare la scheda elettorale
Annullare la scheda con iscrizioni cloacopoetiche Quelle della tabella superiore, ripeto, sono espressioni venute in mente a me, nello stato d’animo in cui mi trovo ora. Non dubito però che ciascuno dei miei meno che venticinque lettori sappia trovarne altre, consone al suo sentire in questo particolare frangente politico. Mi permetto soltanto di sconsigliare le espressioni scurrili, scritte o figurate, tanto più che ormai non scandalizzano nessuno. Tuttavia, se proprio non potete fare a meno di toccare certi argomenti, il mio consiglio è che, invece che scurrili, siate pornografi, degni della migliore tradizione libertina. In questo caso, potreste attingere espressioni elegantissime, vergate in squisito stile ciceroniano da un classico nel suo genere: Aloisiae Sigeae Toletanae Satyra sotadica de arcanis Amoris et Veneris. Se avete difficoltà a procurare questo libro, scritto nel xvii sec., sotto pseudonimo, dall’umanista olandese Nicolas Chorier, potrete sempre ricorrere al florilegio di componimenti scatologici, di ottimo livello, graffiti nei muri del gabinetto (inteso come latrina, non come workshop) dell’Istituto di Filologia classica dell’Università di Vienna. Ecco l’indirizzo d’Internet: Corpus Cloacopoeticum Classicophilologicum Vindobonense
Fondamento dottrinale e scientifico del voto punitivo Non si insisterà mai abbastanza sul fatto che votare scheda bianca o nulla è assolutamente lecito, tutt’altro che inutile, ed è un’operazione scientificamente fondata. Soprattutto in certi momenti, come questo, la scheda bianca o nulla avrà la sacrosanta funzione di un tafano la cui puntura dolorosa può avere un effetto benefico sul corpo imbolsito della classe politica che vi ha deluso. Tante schede bianche o nulle corrispondono a tanti tafani, che potrebbero destare l’animale politico che dorme sugli allori della passata vittoria elettorale, l’animale che si è impossessato del vostro voto, senza mantenere la promessa di riformare lo Stato e l’amministrazione della Regione. La riforma era, appunto, l’unica cosa che chiedevate. Ma se candidano il Trota o il Pedretti e se questi arrivano ad accularsi in Regione, quale mai potrà essere questa riforma? Tante schede bianche, o nulle, sono tanti tafani che potrebbero demoralizzare certi candidati, metterli in fuga, così da indurli ad abbandonare il campo per sempre. Insomma, chi vota scheda bianca, o nulla, non ha niente di che vergognarsi (come vorrebbero lorsignori) e se l’analisi che l’ha portato a questa decisione è stata sviluppata sulla scorta di un ragionamento bayesiano (vedi l’articolo Per la razionalità del voto politico, cit.) egli non può che esserne orgoglioso. Leibniz, il filosofo e matematico, sarebbe più che d’accordo, lui che scrisse:
Di conseguenza, quando sorgeranno controversie fra due filosofi, non sarà più necessaria una discussione, come [non lo è] fra due calcolatori. Sarà sufficiente, infatti, che essi prendano in mano le penne, si siedano di fronte agli abachi e (se così piace, su invito di un amico) si dicano l’un l’altro: Calculemus!
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