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Sulla voluttà di denunciare

Ovvero, l’uso della denuncia come surrogato di una dialettica che non c’è

 

 

Riguardo all’origine dell’aggressività umana se ne sono sentite di tutti i colori, non saremo certo noi a fornire una risposta. Anche se – non lo neghiamo – abbiamo trovato l’argomento interessante, da sempre, da quando cominciammo a leggere gli studi di José Delgado sull’aggressività dei tori e dei gatti, che poteva essere stimolata o inibita impiantando elettrodi molto sottili in certe parti dell’encefalo. O quando, volendo capire qualcosa della psicodinamica della violenza, soprattutto quella che si manifesta negli ambienti coatti, tipicamente negli ambienti aziendali, abbiamo chiesto lumi alla sociobiologia.

    Ma è un argomento vastissimo e di là dalla nostra portata. Meglio attenersi alle cose delle quali si ha una qualche conoscenza, almeno un minimo. Parliamo dunque di quella forma particolare di aggressività che si manifesta con la minaccia di denuncia, o con la denuncia stessa. Uno si prende una gran rabbia, ed ecco che denuncia colui che l’ha messo in agitazione; quindi va in giro proclamando: “Io quello l’ho denunciato!”. Questa è la sua soddisfazione, poco importa se abbia ragione o no, e se egli stesso non debba subire un danno dalla sua stessa denuncia. Per esempio, uno scopre che la moglie lo tradisce con un suo conoscente, con il quale è stato in affari, sapendo da sempre che quello è un evasore fiscale. Ma lo denuncia, per evasione fiscale, soltanto nel momento in cui deve punire in un sol colpo la moglie fedifraga e il suo drudo. Poi si scoprirà che anche lui aveva evaso il fisco.

    Insomma, attenzione a non farsi prendere dalla voluttà di denuncia, a voler fare intervenire un giudice nella speranza di far male all’avversario. Diceva il presidente Mao: «Sollevare una pietra per poi lasciarsela cadere sui piedi è il modo di agire degli sciocchi». Parole migliori, più consentanee alla nostra indole pacifica, si leggono nel Vangelo:

 

Perché non discernete da voi stessi ciò che conviene? Così, per esempio, mentre vai col tuo avversario dal magistrato, cerca per strada di aggiustarti con lui, affinché non ti trascini dal giudice e il giudice non ti consegni all’esecutore, e l’esecutore non ti getti nel carcere. [1]

Luca, xii, 57-58

 

 

Quando Irene Pivetti denunciò Sergio Saviane

 

Particolarmente odiose sono le denunce fatte dagli uomini politici contro chi osa mettere in forse la loro sacralità. Come quando Irene Pivetti fece una denuncia a carico del critico televisivo Sergio Saviane. A quel tempo Irene Pivetti era presidente della Camera, vestiva castigati tailleur color pastello, faceva la maestrina e riscuoteva successo anche a sinistra: sembrava il maestro del Giornalino di Giamburrasca: «Tutti fermi e tutti zitti, ché se vi vede Muscolo siete tutti fritti!». Però lei credeva di essere l’imperatrice Teodora. Insomma, Irene Pivetti non si faceva ancora fotografare da cat woman, con il frustino in mano (vedi fotografia), ma l’atteggiamento dominante era quello. Perciò piaceva, a certa perduta gente. Che cosa ti fa Sergio Saviane? Scrive sulla Voce di Montanelli che Irene Pivetti pareva una “gobeta soppressada” (cioè, “stirata”): così nelle campagne del Veneto chiamano coloro che hanno la complessione e il pallore dei gobbi, pur non essendolo. Lei denunciò Saviane, che fu condannato a pagare una somma ingente (40 milioni di lire), versate poi in sua vece da Indro Montanelli in persona (Saviane non se la passava molto bene a quattrini): si veda l’articolo di Gian Antonio Stella, Pecunia non olet. Ora, dico io, visti gli esiti esistenziali e professionali della zarina, la quale cominciò con Bossi (il suo slogan elettorale era «La tua anima a Dio, il tuo voto a Bossi») per approdare a Lele Mora (è l’impresario della Pivetti), se ci fosse appena un po’ di giustizia, occorrerebbe oggi indire una cerimonia di riparazione del danno subito da Sergio Saviane, uomo di sulfurea intelligenza e umanità francescana, l’inventore del termine “mezzobusto”, colui che aveva visto giusto nel futuro di Irene Pivetti.

 

 

Due modi d’intendere la politica: nascita di un sito e denuncia dell’autore

 

Da ultimo vorremmo presentare un caso emblematico, che potrebbe anche dirsi una case history: così dicono qui in Italia, anche se più correttamente si dovrebbe parlare di case study. Dunque, il caso in esame è questo: c’è a Curno un politico locale, una scheggia impazzita della Lega Nord, che nell’ottobre 2009 ordisce una provocazione nei confronti della comunità islamica, che è solita riunirsi in un seminterrato, alle 12 di ogni venerdì, per il culto religioso settimanale. C’è chi dice che dalla provocazione il politico locale si riprometta visibilità mediatica, in vista delle elezioni regionali che si terranno di lì a qualche mese: lui ha posto la sua candidatura e, di fatto, sarà candidato.

    Il pretesto per la provocazione è la legalità: il politico – si chiama Pedretti ed è il vicesindaco di Curno – fa richiesta agli uffici tecnici di un’ispezione, in situ, guarda caso nell’ora e nel giorno del culto collettivo, al fine di «verificare l’avvenuta esecuzione – da parte dei proprietari dell’immobile – di alcune prescrizioni tecniche impartite dall’Ufficio Tecnico». In seguito (riunione del Consiglio comunale del 29 dicembre 2009) dirà che sì, aveva chiesto che l’ispezione avvenisse quel giorno e a quell’ora, ma non per questo intendeva interferire con il culto. Si trattava di una coincidenza casuale. Intanto il sindaco l’aveva destituito dalla carica, ritirandogli altresì le deleghe di assessore. Pedretti reagì affermando che la ragione della destituzione e del ritiro delle deleghe era un’altra: il sindaco era colui che copriva certi affari immobiliari. L’integrità di Pedretti ne faceva un personaggio scomodo, perciò – a suo dire – sarebbe stato destituito, non per quel tentativo di blitz.

 

 

Uno scontro di civiltà in forma di duello

 

A questo punto entra in campo Aristide, che è un amico del sindaco, è vero, ma – come si dice – amicus Plato, magis amica veritas. Cioè, Aristide interviene a favore del sindaco, ma poi segue una linea di analisi, in parte anche di intervento, che è tutta sua. Aristide interviene, tanto più che vede il sindaco accerchiato da una campagna mediatica dietro la quale s’intravvede un nuovo soggetto politico, nato dalla convergenza della cosiddetta sinistra di Curno (una sinistra di potere, più che una sinistra dei lavoratori) con Pedretti, con l’appoggio esterno dell’Eco di Bergamo, il quotidiano orobico che è una sorta di Grande Berta (vedi foto) per l’occasione puntata contro il sindaco. Si vedano in questo sito gli articoli Scuola di giornalismo / 1 e Scuola di giornalismo / 2.

    Questo nuovo soggetto politico, la cui vita è peraltro statutariamente provvisoria (mentre scriviamo ci par di capire che l’alleanza sia già stata sciolta), si è prefisso di disarcionare il sindaco, che nel 2007 è stato aiutato da PdL e Lega a creare una lista tutta sua. [2]

    Aristide, dicevamo, è amico del sindaco, ma soprattutto è insofferente di alcuni antivalori: l’astuzia, le pubbliche relazioni, l’ambizione piccolo-borghese. Quando Pedretti nega l’evidenza, nega di aver voluto l’ispezione nella cosiddetta moschea nell’ora del culto collettivo, nega e si arrampica sugli specchi, Aristide sente che, potendolo, dovrebbe fare qualcosa. Poiché a Pedretti piace mostrarsi ai suoi sempre determinato e sempre territoriale, anche sui blog, vorrà dire che Aristide affronterà Pedretti sui blog.

    Lo scontro tra Pedretti e Aristide avviene sui due blog di Bergamo news e del circolo dell’Udc di Curno. E se lo scontro di civiltà tra la comunità cristiana e quella islamica era uno scontro da scongiurare, questo fra Pedretti e Aristide è anch’esso uno scontro di civiltà: non da evitare, però, non evitato, ma quasi cercato. In particolare, lo scontro è tra i valori di Pedretti, per il quale la politica è una sorta di prosecuzione dei comportamenti aziendali [3] con altri mezzi (in questa scala di valori il primato spetta al successo, alla spregiudicatezza, al movimentismo), e quelli di Aristide (probabilmente donchisciot­teschi, per cui l’ambizione, la volontà di apparire, l’astuzia sono cose esecrabili). È uno scontro per il quale, secondo Aristide, val la pena impegnarsi. [4]

 

 

Dai blog al sito (Testitrahus)

 

Nei due blog Pedretti ci va giù pesante, accusa Aristide di esser sprovvisto di attributi, perché si firma con uno pseudonimo (come avviene d’altra parte in tutti i blog di questo mondo). Poi rincara la dose, ipotizza che quel che Aristide scrive non nasca da un sentire autentico, ma dal fatto che Aristide sarebbe prezzolato. Infine lo sfida a scrivere un libro, se proprio gli aggrada. Aristide lo prende in parola: scrive la Pedretteide, nella quale si raccolgono gl’interventi del Pedretti stesso e di Aristide nei due blog internettiani dove si commenta il fattaccio della moschea.

    Intanto, come manovra diversiva, Pedretti fa sapere di aver scoperto, rovistando nell’archivio del Comune, che il capannone frequentato il venerdì dagli islamici non ha la certificazione di agibilità. Si fa intervistare, presenta l’assenza di certificazione (un documento burocratico, in pratica) come una prova del fatto che aveva ragione lui, su tutta la linea. Poi la certificazione verrà, di lì a poco più di un mese, ma la cosa passa inosservata. Contano le dichiarazioni, i fatti non contano niente.

    Per rendere la Pedretteide disponibile ai suoi (probabilmente) non più di venticinque lettori, Aristide pubblica il 24 dicembre 2009 sito Testitrahus. Il 29 dicembre, nella riunione del Consiglio comunale di Curno, il sindaco legge un documento ufficiale, siglato e protocollato, dal quale risulta che Pedretti aveva richiesto l’ispezione della cosiddetta moschea un certo venerdì, alle 12, all’ora del culto collettivo. Pedretti a questo punto non può più nicchiare, o rilanciare con nuovi colpi di scena. È costretto ad affermare – come abbiamo visto – che sì, lui aveva chiesto l’ispezione, ma non intendeva interferire con il culto. La possibile interferenza doveva considerarsi un’eventualità del tutto casuale! Dunque Aristide aveva ragione a dubitare della sincerità delle dichiarazioni precedenti di Pedretti, che minimizzava o anche negava le sue responsabilità.

 

 

Denuncia dell’avversario politico

 

Il 14 gennaio 2010 Aristide apprende da Bergamo news che «le ultime voci dicono che lo stesso ex vicesindaco avrebbe presentato un esposto per diffamazione, alla Procura della Repubblica, contro il responsabile di “Testitrahus”». Insieme alla notizia della denuncia, Bergamo news pubblica nome, cognome e indirizzo della persona fisica che ha assunto lo pseudonimo di Aristide. Anche qui, nel ricorso alla denuncia, si vede la contrapposizione tra le due civiltà, quella di Pedretti e quella di Aristide (il quale ha sempre condannato la fregola di denuncia, come ben sanno i suoi amici, da lui sempre sconsigliati a sporgere denuncia, anche nel caso di un torto effettivamente subito).

 

 

Confutazione dell’accusa di diffamazione a carico dell’autore di Testitrahus

 

La questione della diffamazione va inquadrata nella sua cornice, che è il tentativo di Pedretti, dopo la destituzione, di negare o minimizzare l’addebito che gli si muoveva, quello di aver macchinato l’ispezione nella cosiddetta moschea di Curno, nell’ora del culto collettivo, probabilmente a fine di visibilità mediatica. Perciò, dopo una breve presentazione del quadro di riferimento, esamineremo i punti che verosimilmente si prestino a essere considerati diffamatori. Ne abbiamo individuati quattro. I risultati dell’esame sono riportati nel riquadro sottostante.

 

 

La confutazione in breve

 

Quadro di riferimento

        Pedretti dà disposizione agli uffici tecnici del Comune di fare un’ispezione tecnica nella cosiddetta moschea di Curno, un’ispezione in situ, nell’ora e nel giorno del culto collettivo, al fine di «verificare l’avvenuta esecuzione – da parte dei proprietari dell’immobile – di alcune prescrizioni tecniche impartite dall’Ufficio Tecnico». In pratica, è una provocazione alla comunità islamica. Il sindaco intercetta quest’iniziativa e l’annulla. Pedretti viene destituito dalla carica di vicesindaco e subisce il ritiro delle deleghe. Pedretti minimizza la sua intenzione, arriva perfino a negarla: ma viene invitato da Aristide a discolparsi, su due blog. Ne nasce uno scontro fra i due, registrato nella Pedretteide che raccoglie i commenti dei blog. A Pedretteide ormai ultimata e pubblicata, nella riunione del Consiglio comunale del 29 dicembre 2009 il sindaco legge un documento ufficiale, che conferma inoppugnabilmente l’addebito mosso a Pedretti.

              Così stando le cose, nello scontro tra Pedretti e Aristide è naturale che non ci sia luogo per i salamelecchi. Ma è Pedretti che denuncia Aristide. È probabile che si appigli ai seguenti quattro punti, rilevabili nelle pagine della Pedretteide e, conseguentemente, in Testitrahus. Ma le affermazioni di Aristide sono sempre in risposta a diffamazione od offesa da parte di Pedretti o addirittura, come nel caso 4, non si prestano minimamente a essere interpretati come lesivi del buon nome di Pedretti. Dunque non si capisce quale sia il fondamento della denuncia di Pedretti, se non la volontà di denunciare, uno scatto d’ira o una strana concezione della sacralità del suo ruolo di candidato alle elezioni regionali. Non si rende conto che se non avesse voluto minimizzare o negare, se avesse voluto chiedere scusa ai cittadini di Curno, finché era ancora in tempo, Aristide non avrebbe detto niente. E se lui non avesse denunciato Aristide, probabilmente Aristide avrebbe smesso di scrivere su Testitrahus. Ma vediamo i luoghi di possibile diffamazione e offesa, perlomeno nell’ottica di Pedretti.

 

1.     Aristide invita Pedretti a «non latrare come un cane rabido» (Pedretteide, p. 52), ma solo dopo che Pedretti ha affermato che Aristide «vomita sentenze dal pulpito» (ibid., p. 17), parlando altresì di «inutile vomito di pseudo cultura del sig. Aristide o c.p. di turno» (ibid., p. 45).

 

2.     Aristide attribuisce a Pedretti il cognomen di “testitrahus” (ibid., pp. 29 e 37; v. anche la denominazione del sito), ma solo dopo che Pedretti ha insistito sul fatto che Aristide sarebbe orbato di attributi e comunque di dubbia virilità: v. «qualunquista senza palle» (ibid., p. 37); «sii uomo, non un omuncolo» (ibid., p. 3); alibi, passim.

 

3.     Aristide lascia intendere che Pedretti non sia un pozzo di scienza (v. pagina d’accoglienza di Testitrahus: «uomo politico d’ignoranza desolante»), ma ciò avviene dopo che Pedretti espone al Municipio di Curno il drappo “Tibet free”, che secondo lui significa “Tibet libero”, gettando nel ridicolo tutta l’amministrazione di Curno (ibid., p. 30); e solo dopo che Pedretti dà dell’ignorante a un interlocutore del blog e, per far ciò e, per così dire, pour épater le bourgeois, gli riporta una considerazione sull’“ignoranza” tratta pari pari da Wikipedia, considerazione che Pedretti fa passare per farina del suo sacco (ibid., pp. 18-19).

 

4.     A proposito del fattaccio della cosiddetta moschea, Pedretti afferma di aver la coscienza pulita (ibid., pp. 11, 32). Questo secondo lui dimostrerebbe che l’addebito di aver ordito una provocazione ai danni degli islamici non avrebbe fondamento. A parte il fatto che tale fondamento è stato in seguito documentato e dimostrato (seduta del Consiglio comunale del 29 dicembre 2009), Aristide afferma che non può valere il principio per cui chi sente di aver la coscienza pulita necessariamente non abbia commesso il male. E, ricorrendo a un ragionamento inteso a inficiare con un esempio particolare la regola invocata come generale da Pedretti, Aristide afferma (ibid., p. 34) che anche Mengele, che pure si era macchiato di colpe ben più gravi di quelle del Pedretti, si attribuiva una coscienza pulita. Si tratta di un tipico argomento dialettico, cosiddetto a contrario,[5] che non equipara Pedretti a Mengele, ma che vuol dimostrare come sia possibile che Pedretti si senta la coscienza pulita, pur avendo pensato di fare il male. Dunque l’argomento invocato da Pedretti a dimostrazione della sua estraneità alla provocazione non è valido. Invece il nostro argomento è: se può sentirsi la coscienza pulita uno che ha commesso un male enorme, a maggior ragione potrà sentirsela pulita chi ha commesso una marachella (se marachella vogliamo chiamare quel progetto di Pedretti).

 

 

 

 

Approfondimento sull’argomento a contrario (e il dott. Mengele)

 

Poiché il punto 4 è quello che si presta più facilmente a un’interpretazione capziosa, val la pena esaminarlo da vicino, per tagliare la strada a ogni forzatura interpretativa a suffragio dell’ipotesi diffamatoria: “Hai citato Mengele a proposito di Pedretti, dunque li hai messi sullo stesso piano”. Niente di tutto questo: Mengele è soltanto l’esempio che falsifica la legge invocata da Pedretti per dimostrare che la sua intenzione di provocazione (la progettata ispezione nella c.d. moschea, al momento del culto) non è stata un male, o non c’è proprio stata. 

 

 

Sillogismi perfetti ed entimemi

 

La prima osservazione è che Pedretti, pur senza rendersene conto, ha introdotto nel suo ragionamento un sillogismo categorico imperfetto, detto anche entimema: un sillogismo, cioè, nel quale manca la premessa maggiore, oppure la premessa minore.[6] Consideriamo, per esempio, l’affermazione di Pedretti (Pedretteide, p. 11):

 

Mai è stato né deciso o pensato di effettuare le verifiche durante le attività di culto nella moschea. Le speculazioni politiche di chi ha il solo interesse di denigrarmi non mi interessano. So di avere la coscienza pulita, con principi condivisibili o meno.

 

Bene, a parte il fatto che le parole di Pedretti saranno smentite dal documento letto in Consiglio dal sindaco il 29 dicembre, esaminiamo questa sua affermazione esclusivamente da un punto di vista logico. Dobbiamo tradurre le proposizioni del linguaggio ordinario in proposizioni categoriche normalizzate (si veda I.M. Copi, C. Cohen, Introduzione alla logica, il Mulino, Bologna 1997, p. 294). La traduzione “normalizzata” della frase di Pedretti è la seguente:

 

Ho la coscienza pulita.

Dunque non ho commesso il fatto.

 

Introducendo la premessa maggiore che lui dà per scontata (ma che scontata non è, come vedremo), si ha il seguente sillogismo:

 

Premessa maggiore         Chi ha la coscienza tranquilla non ha commesso il male.

Premessa minore              (Riguardo alla c.d. moschea) Pedretti ha la coscienza tranquilla.

Conclusione                      Dunque, Pedretti (riguardo alla c.d. moschea) non ha commesso il male.

 

 

 

Analisi dell’inferenza

 

Ora, un ragionamento è corretto se l’inferenza (cioè la tecnica di ragionamento) è valida e se le premesse sono vere. Se non di dànno entrambe le condizioni, il ragionamento è errato.

    Cominciamo con il verificare la validità della tecnica argomentativa. È senz’altro valida, come dimostra il disegno qui accanto, nel quale si illustra come dalla premessa maggiore e da quella minore segua la conclusione dell'inferenza. [7]

Infatti, com’è evidente dall’esame dei diagrammi (diagrammi di Venn), Pedretti fa parte dell’insieme di coloro che hanno la coscienza tranquilla, e coloro che hanno la coscienza tranquilla non hanno commesso il male. Dunque Pedretti non ha commesso il male (sempre che le premesse siano vere).

 

 

 

 

 

 

 

Analisi della verità delle premesse

 

Cominciamo dalla premessa minore: corrisponde a quel che dice Pedretti, e non saremo noi a mettere in discussione la veridicità di questa affermazione: è senz’altro vera.

 

Ma è la premessa maggiore che ci lascia perplessi: qui si suppone che chi ha commesso il male debba avere la coscienza sporca. D’altra parte chi non ha commesso il male ha la coscienza tranquilla. Dunque deve esistere una relazione tra il male commesso e il turbamento di coscienza, del tipo illustrato nel grafico seguente:

 

 

Sempre che sia vero quel che dice Pedretti, dovrebbe esserci una proporzionalità tra il male commesso e l’inquietudine (o il turbamento di coscienza). Dunque la funzione rappresentativa della relazione tra il male e l’inquietudine dell’animo passa per l’origine ed è ad andamento crescente (anche se non sappiamo se tale andamento sia lineare, come in A, o curvilineo, come in B). In particolare, esamninando il grafico, risulterebbe che Pedretti ha la coscienza tranquilla perché non ha commesso alcun male.

    Ma è proprio vero che le cose stanno così? Direi proprio di no. Nego che sia vera la premessa maggiore: anzi, come si diceva una volta nelle esercitazioni di logica: Nego maiorem!

 

 

L’argomento a contrario

 

Come faccio a negare la premessa maggiore? Semplice: poiché la premessa maggiore presuppone una legge come quella descritta dal grafico qui sopra, è sufficiente che io trovi un solo esempio che contraddica a tale legge, per negare la legge stessa. Introduco cioè l’argomento a contrario. Affermo che Mengele, nonostante il gran male commesso, non aveva problemi di coscienza. Dunque è perfettamente nell’ordine delle cose che Pedretti abbia commesso una marachella, e che tuttavia non abbia problemi di coscienza. Càpita. E non perché lui sia apparentabile, quanto a ferocia, a Mengele, ma perché non è valida la legge illustrata nel grafico. Ergo, non è valida la premessa maggiore del sillogismo: il ragionamento è errato. La coscienza tranquilla di Pedretti non è una dimostrazione del fatto che non abbia architettato la provocazione (come d’altra parte verremo a sapere per tabulas, quando il 29 gennaio il sindaco leggerà un documento siglato e protocollato che proprio questo afferma).

 

Qvod erat demonstrandvm

 

 

Ma perché ho portato l’esempio di Mengele? Per la stessa ragione per cui il mio buon maestro di scuola (al tempo in cui ancora esistevano i maestri, il maestro era unico, le classi erano di 35 ragazzi e la scuola era una cosa seria e bellissima) dovendoci spiegare il concetto di triangolo equilatero o scaleno, disegnò sulla lavagna due triangoli, uno equilatero, l’altro scaleno. Ma il secondo triangolo non era scaleno così così, tanto per dire, tale da poter essere confuso con un triangolo equilatero. Niente affatto: era un signor triangolo scaleno, riconoscibile a prima vista. L’esempio proposto doveva essere eloquente, perché rimanesse impresso nelle giovani menti. Un esempio come questo:

 

 

Non diversamente Galileo per confutare quanto affermava Aristotele sulla caduta libera di un corpo in mezzi (fluidi) di diversa densità, fece un ragionamento dimostrando che se fosse stata vera la legge ipotizzata da Aristotele, un pezzo di legno che galleggia nell’acqua sarebbe invece affondato in un liquido che è più denso dell’acqua. Il che è manifestamente assurdo. Dunque la legge invocata da Aristotele è falsa: la velocità di caduta non è proporzionale alla rarefazione del mezzo attraversato, ma è proporzionale alla differenza tra la densità del corpo in caduta e quella del fluido in cui il corpo cade. [8] Anche io (si parva licet…) dovevo trovare un esempio eclatante, per dimostrare l’assurdità del ragionamento di Pedretti, che presupponeva una legge falsa. E, dovendo trovare un esempio nel regno del male, quale migliore esempio di Mengele? Non se ne abbia a male il buon Pedretti.

 

 


 

[1] Ovviamente questo passo ha un significato allegorico, oltre che uno proprio. Si veda il commento di san Bonaventura da Bagnoregio: «Adversarius noster in via est sermo Dei contrarius nostris carnalibus desideriis in praesenti vita; princeps noster est Christus». E, ancora: «Ne forte te tradat ad judicem, scilicet Christum. […] Et judex tradat te exactori, id est diabolo, qui peccata exigit. […] Et exactor mittat te in carcerem, scilicet infernalem» Cfr. S. Bonaventurae doctoris Ecclesiae seraphici, Opera omnia, Parisiis apud Ludovicum Vives bibliopolam, mdccclxviii, tomus x, pp. 575 ss.

 

[2] Poi però, dopo le elezioni comunali, la lista del sindaco, in quanto tale, non ha più avuto voce, o quasi: la parola è passata ai singoli e ai partiti. Il sindaco, evidentemente, doveva farsi da parte. I partiti, o alcuni dei loro rappresentanti, pretesero di stravolgere il programma elettorale e imporre una linea di condotta praticamente in contraddizione, in parte, con quel programma, in parte smemorata. Ignoriamo le ragioni di questo stravolgimento, che tutt’al più possiamo intuire. Ma un’intuizione è troppo poco, bisognerebbe essere addentro agli arcana imperii per avere indicazioni attendibili. Quel che invece è certo è che qualcuno, al momento dei fatti qui raccontati, trama contro il sindaco. I quattro cavalieri mandati dal re per uccidere (simbolicamente) il sindaco in Municipio, come avvenne di Becket in Assassinio nella cattedrale, sono stati avvistati ai confini di Curno, dalla parte che volge a Bergamo, in dissimulata manovra di avvicinamento.

 

[3] Sosteneva Carl von Clausewitz che la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi. Molti politici odierni, soprattutto dopo il tramonto dell’egemonia dei partiti, sostengono di fatto – e Pedretti non è il solo – che la politica è la trasposizione della gestione aziendale con altri mezzi.

 

[4] Inutile e, soprattutto, troppo lungo spiegare che certi scontri di civiltà sono da evitare, perché ci fanno precipitare in pagine di storia che vorremmo aver voltato per sempre, altri invece devono essere considerati potenziali fattori di progresso. Per esempio, l’attacco mosso da Paolo Villaggio alla miseria della vita aziendale ha determinato un miglioramento della qualità della vita. Peccato solo che manchi oggi un nuovo Paolo Villaggio che metta in ridicolo la vita aziendale nella sua più recente mutazione darwiniana, a fini di sopravvivenza. La posta in gioco oggi non è più il non far nulla, ma dimostrare di essere utili e indispensabili facendo cose inutili e spesso dannose. Il ragionier Filini oggi frequenta tutti i possibili e immaginabili corsi di formazione e aggiornamento, la signorina Silvana, molto determinata nel perseguire obiettivi di carriera, si occupa con piglio sicuro di “Enterprise Resource Planning” (il riferimento è alla serie di libri e film di Paolo Villaggio che hanno come protagonista il ragionier Fantozzi).

 

[5] L’argomento a contrario è tipicamente un argomento a posteriori, nel quale si ricorre a conoscenze acquisite attraverso l’esperienza per corroborare la tesi da giustificare, cioè la conclusione dell’inferenza. In particolare, l’argomento a contrario è utilizzato per indebolire la portata di una generalizzazione. Serve per falsificare una legge o un’ipotesi di lavoro (cfr. G. Boniolo, P. Vidali, Strumenti per ragionare, Bruno Mondadori, Milano 2002, pp. 74, 85).

 

[6] Analogamente, nel Borghese gentiluomo, di Molière, Mr Jourdain apprende di aver sempre parlato in prosa: adesso che lo sa, se ne compiace non poco. Quanto all’entimema, ne è tipicamente un esempio il seguente ragionamento:

“Socrate, essendo un uomo, è mortale”.

Introducendo la premessa mancante, che viene taciuta perché da tutti ammessa come vera, il ragionamento si trasforma in un sillogismo perfetto, con due premesse e una conclusione:

Premessa maggiore (implicita):              Tutti gli uomini sono mortali.

Premessa minore:                                   Socrate è uomo.

Conclusione:                                           Socrate è mortale.

 

[7] Un logico medievale ragionerebbe diversamente, ma perverrebbe alla medesima conclusione. Osserverebbe che questo è un sillogismo cosiddetto di I (prima) figura, in particolare di tipo bArbArA, costituito cioè di tre enunciati di tipo A, enunciati universali positivi. Il sillogismo di tipo Barbara è uno dei 24 sillogismi validi, tra i 256 possibili: si veda in proposito G. Boniolo, P. Vidali, Op. cit., pp. 26-28. Ricordiamo che un sillogismo di I figura, è quello la cui premessa maggiore è del tipo MP (M = termine medio = avere la coscienza tranquilla; P = estremo maggiore = non aver commesso il male); la premessa minore è del tipo SM (S = estremo minore = Pedretti; M = come sopra); la conclusione è del tipo SP (S e P come sopra). I sillogismi di I figura classificati dai logici medievali come “normali” sono quattro: Barbara, Celarent, Darii e Ferio.

 

[8] Il ragionamento di Galileo può essere letto alle pp. 68-70 del libro: J. Mazur, Achille e la tartaruga. Il paradosso del moto da Zenone ad Einstein, il Saggiatore, Milano 2009, trad. di C. Piga (toh!). Una trattazione completa della caduta di un corpo in un mezzo di densità non trascurabile, tenendo conto anche dell’effetto paracadute, si trova in U. Amaldi, La fisica di Amaldi: 1. Introduzione alla fisica. Meccanica, Zanichelli, Bologna 2007, pp. 466-67 (vedi).

 

 

Aggiornamento (agosto 2011)

A seguito della querela (dicembre 2009) sporta da Roberto Pedretti – che non non ha gradito né la Pedretteide, né Testitrahus – Aristide è stato imputato del delitto di cui all’art. 595 co. 3° del codice penale (diffamazione) per aver offeso l’onore e il decoro del consigliere regionale della Lombardia Pedretti Roberto.

     Il 30 aprile 2011 Aristide è stato completamente prosciolto con la seguente formula: «Non luogo a procedere. Il fatto non sussiste. Il querelante è condannato al pagamento delle spese processuali». Si veda il testo della sentenza in Aristide prosciolto, Pedretti condannato.