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L’Accademia degli Indignati

Il curnensi forse non lo sanno, ma esiste a Curno un’accademia. Essa si colloca a buon diritto nel solco delle accademie che ebbero vita in Italia al tempo felice dell’Umanesimo e giù di lì, fino a tutto il Settecento e oltre, con qualche stentata propaggine fino ai giorni nostri. Ebbene, l’Accademia degli Indignati di Curno è una di queste propaggini.

Non dobbiamo però pensare all’Accademia degli Indignati come a un’istituzione stabile, con statuti propri, un elenco blindato di iscritti, regole severe di ammissione e, nel caso, di sottomissione.[1] No, l’Accademia degli Indignati di Curno ha una struttura fluida, criteri di ammissione a geometria variabile e rituali iniziatici mutevoli, secondo l’opportunità. Due però sono i capisaldi che caratterizzano l’Accademia degli Indignati di Curno. Questi sono davvero immutabili, e non c’è nessuno che osi metterli in discussione: sono la sua ragion d’essere e lo strumento dell’indignazione. La ragion d’essere dell’Accademia è la conservazione del potere (del potere reale, non di quello cosiddetto democratico, che semmai serve soltanto a puntellare il potere reale); il suo strumento è l’anatema.

 

L’Accademia degli Indignati è “de sinistra”…

Per agire imperscrutabile nei meandri del potere reale, l’Accademia degli Indignati è camaleontica, ed è naturale che le apparenze possano trarre in inganno gli osservatori più ingenui. Per esempio, oggi le apparenze indurrebbero a pensare che l’Accademia sia di sinistra (ma, per essere precisi, considerato che la sinistra, come la pietà, “l’è morta”, questi di Curno saranno tutt’al più “de sinistra”).[2] Certo, conosciamo la propensione della sinistra all’indignazione, sappiamo bene quanto sia bacchettona, né dimentichiamo la magistrale lezione di Scalfari, il fondatore di Repubblica, che rivendica alla sinistra una “superiorità antropologica”. Si veda in proposito l’articolo I valori sì, ma non quelli bollati dai dottori della Legge. Ma qual è la scaturigine di tale presunta superiorità vuoi antropologica, vuoi morale e culturale della sinistra? Essa nasce dal fatto che – come auspicava il buon vecchio Nenni per il futuro del suo partito – la sinistra è entrata nella “stanza dei bottoni”.[3] Parliamo, naturalmente, del potere reale, quello che ha bisogno dell’investitura da parte dei salotti buoni della finanza (si dice salotto “buono”, evidentemente, per antifrasi), del potere incistato nelle istituzioni, nei mezzi di comunicazione di massa, nel mondo della cultura. Tutto questo è vero se consideriamo il panorama nazionale. Ma è anche vero se consideriamo il microcosmo di Curno, che poi tanto microcosmo non è, se pensiamo che Curno è un’appendice di Bergamo. Curno è il luogo dove i poteri forti ritengono di fare a loro piacimento ciò che non possono fare a Bergamo, o non riescono a fare. Bene, una delle funzioni dell’Accademia degli Indignati di Curno è proprio quella di mantenere Curno nel suo stato di soggezione.

L’Accademia degli Indignati si chiama così perché, da che mondo è mondo, chi detiene il potere rivendica un suo peculiare diritto all’indignazione. Infatti, se qualcuno gli domanda con quale diritto pretenda di tenere per sé tutto il potere, se è un re d’altri tempi dirà che il suo potere si fonda sul diritto divino, se invece è un furbacchione del nostro tempo proclamerà l’indegnità degli esclusi. È finito il tempo in cui non solo si parlava di politica, ma la si faceva, magari anche in vista dello scontro di classe, tra ceti produttivi e ceti percettori di rendite parassitarie, per esempio. Oggi è tutto un chiacchiericcio etico ed etico-ragionieristico: le elezioni democratiche sono un incidente di percorso, il dibattito politico è roba d’altri tempi (avete mai sentito parlare, signorini e signorine della sinistra di potere, dei dibattiti alla Casa della cultura in via Borgogna a Milano, o nella stessa piazza del Duomo, tutte le sere, fino a notte fonda?). Il governo tecnico è considerato il sommo bene per il paese (intendiamo per il paese-Italia, quello che secondo alcune maestre andrebbe scritto maiuscolo: “Paese”). Ma in fondo – perché no? – non potrebbe un governo tecnico essere una soluzione ottimale anche per Curno? Dio non voglia che i curnensi vogliano autodeterminarsi – anche loro! – lasciando con un palmo di naso poteri forti, società immobiliari e apparatniki di partito.

 

… ma è anche “de destra”

Dunque, nihil sub sole novi: non c’è da meravigliarsi se questa sinistra di Curno (ammesso che sia una sinistra) si attribuisce un blasone e all’ombra di questo alza il sopracciglio come Eugenio Scalfari, fa la boccuccia stizzita come Stefano Rodotà, osserva la plebe con lo sguardo tra lo schifato e il misericordioso di Conchita de Gregorio.

Dicevamo che non bisogna farsi ingannare dalle apparenze, in particolare non si deve commettere l’errore di ritenere che l’Accademia degli Indignati di Curno sia necessariamente di sinistra (più precisamente, “de sinistra”). L’indignazione, come abbiamo visto, è una naturale disposizione d’animo manifestata da chi ha il potere. Tant’è che quando un uomo di destra riesce a conquistare posizioni avanzate di potere, non più contrastate (parliamo di potere reale, evidentemente) lo vedrete immancabilmente inarcare il sopracciglio, fare la boccuccia stizzita e accomodare lo sguardo a un’espressione di addolorato compatimento, proprio come fanno i signori “de sinistra”.

Per questa ragione il Pedretti di Curno, pur non essendo di sinistra, avendo (o avendo avuto) un potere non esiguo nel condizionare a suo profitto la politica di Curno, rivendica a sé il diritto sacrosanto all’indignazione. Si indigna e denunzia.[4] Inoltre, se Aristide ha bene interpretato alcuni segnali che gli sono pervenuti, gli apparatniki di Curno sono indignati all’unisono, nei confronti del sindaco e nei confronti di Aristide, sia quelli di destra, sia quelli di sinistra. A scanso di equivoci, chiamiamo “apparatniki” quei piccoli funzionari di partito che pretendono di imporre all’Amministrazione di Curno logiche che sono del tutto estranee agli interessi del popolo di Curno, talvolta in contrasto, e che semmai rispondono alla logica del mantenimento o del mutamento (secondo loro convenienza) degli equilibri politici nei partiti o – peggio ancora – alla logica di avanzamento nelle grazie del partito di riferimento da parte degli apparatniki medesimi. Dato che ci siamo, diciamola tutta: questo modo di fare politica è caratteristico della Prima repubblica, con la differenza che i funzionari di partito della Prima repubblica di solito passavano per la trafila di una selezione rigorosa. Nella Seconda repubblica invece corriamo il rischio, soprattutto nelle sedi periferiche, di trovarci catapultati uomini d’apparato di ben altra e più modesta caratura. Apparatniki, appunto. Naturalmente, se un funzionario di partito ha passione politica, se è sollecito del bene dei cittadini di Curno, se è una figura di levatura morale superiore, indipendentemente dal partito per il quale milita, a lui esprimiamo gratitudine e anche ammirazione, se si dimostra disinteressato, alacre e perfino intelligente. In altre parole: Signori dell’Accademia degli Indignati, calma e gesso, non precipitatevi a lanciare l’anatema, accusandoci di mettere tutti nello stesso calderone. Favete linguis! Sappiamo quel che diciamo. Inoltre, a scanso di equivoci: questo è quel che pensa Aristide, che è un libero pensatore. Il sindaco potrebbe pensarla in maniera del tutto difforme.

Par di sentirli, questi apparatniki, deplorare all’unisono: Eh! Si stava così bene prima, al tempo felice in cui non c’era questo Gandolfi, per non parlare poi di questo Aristide! Prima ce le davamo di santa ragione, ma fra noi, una volta a me e una volta a te. E non avevamo la pretesa di far ragionare il popolo, semmai ognuno dall’alto del suo magistero lo ammaestrava. Ergo, il pallino del dibattito era pur sempre nelle nostre mani, in mani sicure. Ma che cosa ha in mente questo Aristide, che cos’è questa pretesa di demistificare il potere? Va bene, se l’è cercata lui: anatema su Aristide!

 

L’anatema

È arrivato il momento di parlare dello strumento che l’Accademia degli Indignati brandisce come spauracchio, e come pena. Questo strumento, come abbiamo visto, è l’anatema scagliato contro l’avversario importuno e insopportabilmente audace, nel momento in cui l’indignazione ha raggiunto il suo acme. Senza perderci in troppe parole per spiegare il significato di questa parola, proponiamo al gentile lettore la visione di questo spezzone di film, tratto dalla Via lattea di Buñuel. Assistiamo alla recita delle bimbette all’Istituto Lamartine di Bordeaux: il testo della recita è estrapolato dai canoni stabiliti al concilio di Braga contro l’eresia di Priscilliano. Nella recita la parola “anatema” sta per “scomunica solenne”.[5]

 

Signori dell’Accademia degli Indignati, prima di scagliare il vostro anatema, leggete la nota 5.

Ora qualcuno ci obietterà che, pur avendo ben capito a chi ci riferiamo, riguardo a questa benedetta Accademia degli Indignati, tuttavia non ha mai sentito alcuno degli illustri accademici di Curno pronunziare la parola “anatema”. A questa obiezione si risponde osservando che la sostanza non cambia, se invece della parola “anatema” si usano altre espressioni equivalenti, che suonano anch’esse come una scomunica pronunziata da uomini e donne che credono di essere i padri conciliari riuniti in quel di Braga, in Portogallo, per condannare il manicheismo e lo gnosticismo, oltre che per stilare l’elenco dei principali diavolacci. D’altra parte, non usa oggi dire “non vedente” al posto di “cieco”, e “ipoacusico” al posto di “sordo”? Dunque al posto di “Anatema!”, voi avrete certamente sentito espressioni come queste: “Inaudito!”, “Insopportabile!”, “Questo è gravissimo!”, o anche: “Ciarpame!” (Quest’ultima espressione è stata messa in circolo da Veronica Lario in Berlusconi.) Dunque, l’intendimento dei sodali dell’Accademia degli Indignati è lo stesso dei padri conciliari di Braga, come pure uguale è la volontà di stabilire un canone al quale l’universo mondo debba attenersi, attraverso l’emanazione di un perentorio giudizio di condanna. Naturalmente, questi accademici sono in preda a delirio di potenza. Ma loro non lo sanno.

 

Esempi di anatema

Seguono alcuni esempi di anatema pronunziati dall’Accademia degli Indignati di Curno recentemente (dicembre 2009 - gennaio 2010).

 

Se il sindaco di Curno afferma che il vicesindaco intendeva procedere a un’ispezione nella cosiddetta moschea, nel momento in cui i fedeli sono riuniti per la preghiera collettiva, laddove il vicesindaco Pedretti afferma che intendeva fare tale ispezione il venerdì alle 11.30, e se inoltre il sindaco insiste ad affermare la coincidenza delle due cose: su di lui anatema!

Spiegazione - L’anatema viene scagliato – indipendentemente dall’aspetto logicamente assurdo della questione, così come è posta dal vicesindaco – perché la decisione del sindaco è in contrasto con il disegno di potere del vicesindaco, il quale intendeva mettere a frutto la visibilità mediatica in vista della candidatura alle elezioni regionali . La cupidigia di potere del vicesindaco prevale sulle considerazioni di rispetto dei diritti dell’uomo (degli islamici, in questo caso) e della pace religiosa a Curno, che riguarda tutti i cittadini di Curno indistintamente.

 

Se Maria Donizetti e Angelo Fassi accettano, rispettivamente, l’incarico di vicesindaco e le deleghe che sono stati levati a Pedretti: su di loro anatema!

Spiegazione - L’anatema viene scagliato perché la decisione del sindaco è in contrasto ecc.: vedi l’anatema precedente.

 

Se il gruppo Insieme per cambiare Curno afferma che Pedretti è un capro espiatorio e il sindaco dimostra invece che Pedretti si è reso colpevole di aver architettato un atto di duplice empietà: su di lui (il sindaco) anatema!

Spiegazione - L’anatema viene scagliato perché non conta la verità, ma l’opportunità politica (politicante), in questo caso quella del gruppo che pretende di rappresentare la sinistra di Curno.

 

Se Aristide afferma che la provocazione dell’ex vicesindaco di Curno avrebbe potuto avere esiti di macelleria sociale: su di lui anatema!

Spiegazione -”Macelleria” è un termine adoperato da Cesare Cantù per denotare gli episodi di guerra di religione avvenuti in Valtellina. “Sociale” si dice, per esempio, della guerra sociale sostenuta dagli italici contro Roma nel 91 a.C. Ciò premesso, l’anatema viene scagliato per due motivi: a) l’espressione “macelleria sociale” è impiegata dai sindacalisti nell’accezione specifica di taglio dei posti di lavoro o dei tagli di spesa e, necessariamente (almeno secondo l’Accademia degli Indignati) l’uso sindacale prevale su qualunque altro uso, ancorché storicamente attestato;[6] b) l’espressione “macelleria sociale” è in ogni caso politicamente scorretta, in quanto è politicamente scorretto accennare alla possibilità di innesco di guerre di religione nel territorio italiano, anche se ogni giorno leggiamo di nuovi focolai di guerra e di nuove stragi, in relazione a problemi di intolleranza religiosa, in più parti del mondo.

 

Se Aristide insiste a parlare a titolo personale e mantenendo lo pseudonimo: su di lui anatema!

Spiegazione - L’anatema viene scagliato perché il potere non è interessato agli argomenti proposti per la discussione, ma alla persona che li propone, per classificarla (come amico o avversario, o anche nemico da abbattere ecc.) ed eventualmente colpirla, se percepita come nemico, nei suoi affetti, nei suoi interessi ecc. Il potere ha un’alta considerazione di sé e non intende perdersi in discussioni filosofiche, sulla scia di Pirandello, quali sono esposte in questo stesso sito (si veda la pagina L’identità di Aristide), men che meno in discussioni politiche. Il potere non conosce passione politica, concepisce la politica soltanto come mezzo per turlupinare il popolo.

 

Se Aristide insiste a scrivere sotto pseudonimo, anche adesso che si è scoperto (?!) quale sia la persona fisica che si firma con questo nome: su di lui anatema, e anatema anche sulla sua persona fisica!

Spiegazione - Il potere se ne infischia della correttezza di un cittadino che esprime il più privatamente possibile le sue opinioni, allorché il cittadino non intenda coinvolgere nella propria passione politica persone che gli sono vicine, né voglia dar adito a illazioni sulla correttezza dei suoi comportamenti pubblici. I quali sono quello che sono, possono piacere o meno, ma devono essere giudicati nel loro ambito di pertinenza, indipendentemente dal fatto che quel cittadino abbia o non abbia opinioni politiche che – se così piace fare – sono espresse privatamente e firmate da uno pseudonimo. Il potere se ne infischia di questa correttezza: anzi, poiché le opinioni di Aristide dànno fastidio, fa pubblicare su Bergamo news le sue generalità e il suo indirizzo. In realtà il cittadino che si firma Aristide non aveva fatto niente per nascondersi: aveva registrato il sito Testitrahus con il suo nome, avendo previsto che gli avrebbero dato la caccia. Poiché agli occhi del potere Testitrahus poteva apparire un corpo di reato, Aristide aveva pensato di fare qualcosa di analogo a quel che si vede nel film Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Elio Petri (1970), dove il commissario della Sezione omicidi, interpretato da Gian Maria Volonté, uccide Florinda Bolkann e lascia di proposito sul cadavere un filo della propria cravatta.. Si veda qui sotto lo spezzone di film, dove il commissario si prende gioco del povero brigadiere Panunzio, che aveva scoperto quel filo.

 

 

E adesso che ho parlato di voi, signori dell’Accademia degli Indignati, che fate? Scagliate un nuovo anatema per le cose che ho scritto?

 


 

[1] Come avviene, per esempio, nella massoneria e in certe sette religiose. Secondo alcuni, che si dicono bene informati, certe logge massoniche imporrebbero rituali di iniziazione imbarazzanti, per un uomo timorato di Dio. Ne fu spaventato il bisnonno di Aristide, che al tempo in cui i cattolici ebbero il sopravvento nella gestione dell’Ente di provvidenza per i bisognosi, qui a Bergamo, si trovò a perdere il posto di amministratore. Divenuto bisognoso egli stesso, gli fu consigliato dagli amici socialisti e garibaldini di iscriversi alla massoneria. Partecipò a una riunione preliminare, ma se ne ritrasse immediatamente, spaventato. Ciò avvenne più di un secolo fa e questo Aristide ha sempre sentito raccontare in famiglia. Dei riti massonici molto si è favoleggiato: ne ha scritto, fra gli altri, Roger Peyrefitte, nel suo libro Il Grande Oriente. Con riferimento a queste favole sull’iniziazione massonica, piace ricordare quanto affermò il cantante Claudio Villa, quando il suo nome fu trovato nell’elenco degli iscritti alla loggia P2 (rinvenuto, com’è noto, nel corso della perquisizione ordinata dal magistrato Gherardo Colombo nella villa di Gelli, a Castiglion Fibocchi). Ebbene, quando i giornali pubblicarono il suo nome, il cantante Claudio Villa, a scanso di equivoci e a tutela della sua reputazione di depositario di una sana, ruspante virilità trasteverina, uscì con questa affermazione: «Ma io certe cose non le ho mai fatte!».

[2] “De sinistra” sarebbe a rigore un’espressione romanesca. In realtà, indica la propensione – non solo romanesca – a militare a sinistra in vista di vantaggi immediati o futuri: per esempio, al tempo degli anni “formidabili” (copyright di Mario Capanna), per conseguire lauree facili; in generale, per avere protezioni sindacali a garanzia del mantenimento del posto di lavoro, con procedure congelate in aeternum, e indipendentemente dal fatto che il lavoro prodotto corrisponda effettivamente allo stipendio percepito; per evitare di dover dimostrare la propria idoneità a ricoprire incarichi di responsabilità (non dimentichiamo il buon Luigi Berlinguer, che non sarà stato un’aquila, ma morì impallinato dai suoi, perché aveva proposto un sistema oggettivo di valutazione dei professori della scuola italiana) ecc.

[3] Sentendo Nenni che parlava della “stanza dei bottoni” alcuni socialisti della sua Romagna intesero “dobloni”, invece che “bottoni”: di lì a non molti anni, purtroppo, il concetto di “stanza dei bottoni” venne a coincidere con quello di “stanza dei dobloni”. Ma non possiamo far carico a Nenni di questa degenerazione del Partito socialista.

[4] Si veda in proposito, sempre in questo sito, l’articolo Sulla voluttà di denunciare.

[5] La recita delle alunne è interrotta a tratti dalle scene di una fucilazione del Papa, per opera di anarchici. Spiegare la ragione di questo inserto ci porterebbe lontano, perché si dovrebbe parlare del progetto surrealista che sta alla base di questo film di Buñuel (1968), apparentemente dedicato alle eresie della Chiesa cattolica, in realtà al malessere dell’uomo moderno. Una frase emblematica, pronunciata da un personaggio enigmatico – ed è l’unica cosa ch’egli dica in tutto il film, probabilmente in rappresentanza dello stesso Buñuel – è la seguente: «Il mio odio per la scienza e il mio orrore per la tecnologia mi condurranno fatalmente a quest’assurda fede in Dio».

[6] C’è da domandarsi a questo punto, se non si debbano aggiornare tutti i libri scolastici (in particolare, quelli di storia), conformandoli all’ultimo grido sindacalista sull’uso della lingua italiana. Per esempio, invece di scrivere “aprire una trattativa”, o “intavolare una trattativa”, si dovrebbe dire “aprire un tavolo”, come – ahinoi – vien fatto di leggere, sempre più spesso, nei giornali.