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27 marzo 2010 

Miseria della politica

 

 

Nota: questo articolo è stato scritto in origine per la pubblicazione nel blog del circolo Udc di Curno, il giorno prima della votazione per l’elezione del Consiglio regionale della Lombardia (il sito è stato chiuso misteriosamente, ma non più che tanto, per coloro che sanno rerum cognoscere causas, il 28 ottobre 2010).

     Quella stessa votazione stabilì – ahinoi – che Roberto Pedretti si sarebbe seduto nel Consiglio de’ Lombardi (votato dagl’ignari bergamaschi di pianura), insieme con Renzo Bossi, detto “il Trota” (che ha raccolto una messe di voti nelle valli bresciane) e con l’igienista dentale Nicole Minetti (splendida ragazza della scuderia di Chiambretti, conosciuta da Berlusconi all’ospedale san Raffaele, dov’era ricoverato, e subito candidata per il Pdl). 

 

Aristide a chi legge salute

 

Prima di affrontare la lettura delle righe che seguono (sempre che riteniate che ne valga la pena) vi invito a guardare questo brano del film Il grande dittatore di Chaplin (1940). Concepito dal grande cineasta inglese – con un pizzico di retorica e con l’ottimismo della volontà – come messaggio di fratellanza indirizzato a tutta l’umanità, questo discorso può anche essere interpretato, dai cittadini di Curno, come un invito alla speranza: si vedano le considerazioni riportate alla fine dello scritto.

 

 

 

Retorica territoriale, politica zero

Ci siamo. Tra poche ore si apriranno le urne, e mai campagna elettorale fu così squallida. Perché di tutto si è parlato, tranne che di politica. I candidati – al solito – si sono dati molto da fare, all’interno dei rispettivi partiti, per essere iscritti nelle liste elettorali; quindi non si sono risparmiati, pur di apparire, com’è d’altra parte nelle regole del gioco, facendo affiggere manifesti, distribuendo bustine di zucchero, o prodigandosi con simili amenità, offrendosi infine in degustazione al popolo bue nei gazebo, a ridosso dei giorni in cui si voterà. Ma si sono dimenticati della politica. D’altra parte, la politica non la sanno fare. La competizione finalizzata al prevalere di una concezione della cosa pubblica, anche in ambito regionale – una concezione plausibilmente migliore di un’altra – non gl’interessa proprio. I signori candidati non sono al servizio dell’idea, ma l’idea (o l’ideuzza) è al loro servizio.

    Hanno sfoderato un po’ di retorica, ovviamente territoriale, visto che queste sono elezioni regionali, ed è stata ovviamente una retorica di bassissimo livello. Hanno bofonchiato qualche sermone, e non erano certo le orazioni di Bossuet (Bossuet, non Bossi). Hanno fatto promesse alle categorie dalle quali sperano di lucrare potere. Hanno usato i soliti vecchi arnesi promozionali, comprese le comparsate televisive (sono vecchie anche quelle). Hanno fatto i loro giochini di potere e mai come ora, mai così spudoratamente, hanno mostrato di infischiarsene dei cittadini dai quali pretenderebbero di incamerare la preferenza.

 

Il blitz alla “moschea”: una risposta insensata, oltre che empia, a un problema vero

Pedretti si era preparato il terreno con l’iniziativa di quell’orribile – per fortuna sventato – blitz alla cosiddetta moschea di Curno. Questo gesto, pur esecrabile, avrebbe potuto essere un’occasione perché i partiti politici a Curno si facessero vivi, perché i candidati di questo collegio elettorale facessero politica. Un’occasione non solo per discutere se sia giusto, in generale, che una comunità pacifica sia trascinata nel gorgo di una pericolosa turbolenza sociale. Un’occasione non solo per riflettere sui diritti inalienabili di pensiero, di coscienza e religione sanciti nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Un’occasione per riflettere sui mostri partoriti dall’intolleranza, sulla scorta di quel che scrissero Erasmo nel suo Lamento per la pace («...e una condotta così empia viene coperta con denominazioni devote»), Voltaire nel suo Trattato sulla tolleranza, Zola nel suo J’accuse.

    Il gesto di Pedretti avrebbe potuto essere un’occasione per fare queste riflessioni, se coloro che avevano il dovere di denunciarne l’empietà non avessero preferito far passare tutto sotto silenzio. Ma si poteva fare di più, e meglio. Si poteva ragionare, concretamente, sulla presenza così numerosa di extracomunitari nel nostro paese, fra l’altro così repentina (a differenza che in Francia e in Germania). Si poteva riflettere sul fatto che gli extracomunitari (regolari o clandestini) sono strutturalmente integrati nell’economia del paese, tanto da produrre il 9,5% del Pil italiano. Si poteva analizzare il contributo al Pil prodotto dagli extracomunitari e arrivare, forse, alla conclusione che il lavoro degli extracomunitari che confluisce nel Pil è lavoro vero, cosa che non sempre si può dire del lavoro di certe fasce di lavoratori fasulli, ancorché italiani, che viene computato con il segno “più”, laddove il segno dovrebbe essere “meno”. Soprattutto, si poteva discutere su due temi squisitamente politici: a) sul declino economico, civile e morale dell’Italia e sulla possibilità di arginarlo, nonché sulla possibilità che l’Italia e la sua civiltà siano in prospettiva salvate, come già nel passato, dai nuovi “barbari”; b) sul modello di sviluppo che i cittadini italiani, e quelli lombardi in particolare (visto che si tratta di elezioni regionali), hanno il sacrosanto diritto di scegliere, in barba alle pretese mondializzatrici della finanza internazionale e ai sermoni degli eurocrati.

 

Inadempienza dei partiti politici di Curno

Il gesto improvvido di Pedretti poteva dunque essere un’occasione per fare politica: buona politica, e non politica politicante. Politica concreta, commisurata alle risorse esistenti e in armonia con un progetto di vita, non genericamente e truffaldinamente “condiviso”, ma democraticamente votato. Tutto questo si poteva fare, ma non si è fatto. Questo è il fallimento della politica. Per essere precisi, questo è il fallimento dei partiti politici di Curno, i quali tuttavia hanno preferito crogiolarsi nel torpore degli ingiusti. In soldoni, la risposta al gesto di Pedretti è stata la seguente:

 

•       l’oligarchia progressista di Curno ha minimizzato il fatto, affermando che Pedretti è un capro espiatorio: evidentemente, l’esigenza tattica di andare contro il sindaco (che aveva destituito Pedretti dalla carica di vicesindaco) ha fatto aggio su qualunque altra considerazione, a costo di un ulteriore snaturamento della sinistra di Curno, sempre più “sinistra di potere” è sempre meno “sinistra”;

•       da parte del Pdl: silenzio totale;

•       da parte della Lega nord: Fassi e Donizetti sono stati dalla parte del sindaco, altre voci non sono state sentite, perlomeno pubblicamente, a parte quella di Pedretti che, al solito, pretende di imperare sulla Lega;

•       da parte dell’Udc: questo partito è l’unico che abbia fatto politica a Curno, prendendo posizione ripetutamente, nel suo sito, a favore della famiglia e ospitando il J’accuse di Aristide (che sentitamente ringrazia), ospitando cioè la sua Pedretteide e i suoi interventi nel blog.

 

Ora, io non so se Pedretti e il Trota riusciranno – grazie alla designazione autocratica, ma anche con il contributo di voto degli elettori – a far parte del Consiglio regionale della Lombardia. Se così sarà, non sarà certo una bella cosa. Possiamo consolarci pensando al principio di Le Châtelier, secondo il quale “ogni sistema tende a reagire alle modifiche impostegli dall’esterno minimizzandone gli effetti” (si veda in proposito questa interessante esemplificazione in un laboratorio di chimica).

    Chi invece è pessimista sarà portato a pensare che, se le cose stanno così, se cioè la luce della cultura e della ragionevolezza  è costretta a cedere il passo alla spessa e tenebrosa coltre dell’autocrazia, non contrastata dai cittadini, allora è la morte della politica. Il pensiero va alle parole con cui Socrate, condannato a morte sulla base di tre accuse pretestuose, si accomiatò dai giudici: «Ormai è tempo che io vada a morire, e che voi ve n’andiate a vivere. Nessuno però, tranne il Dio, è a conoscenza di chi andrà incontro a un fatto migliore, se voi, oppure io». In questa analogia, al posto dei giudici dobbiamo mettere i cittadini elettori.

    Mette tristezza pensare che l’empietà del gesto di Pedretti, sia nei confronti degli uomini di religione islamica, sia nei confronti di tutta la civitas curnense, sia stata contrastata dal solo sindaco, nei fatti e in perfetta solitudine, e che nel suo quadro di riferimento, fattuale ed etico, sia stata incalzata pubblicamente dal solo Aristide. Sono tanti al giorno d’oggi coloro che parlano, e più che altro straparlano, di etica. A dir la verità, non se ne può più: oltre che le conferenze di Stefano Rodotà, oltre che i convegni inutili, abbiamo la Banca etica, abbiamo l’Immobiliare etica, e chissà quali altre baggianate. Ci aspettiamo da un momento all’altro che ci propongano l’acquisto di un callifugo etico. Poi però quando un Pedretti da Curno agisce in palese contrasto con il dettato dell’art. 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, non uno di questi “eticisti”, non uno di coloro che solitamente sgomitano per firmare petizioni e manifesti (per i più giovani è un modo, o una speranza, di far carriera), non uno di coloro che solitamente sono così facili all’indignazione “democratica”  alza la voce. Ha parlato invece Aristide, vox clamantis in deserto, uno – fra l’altro – che se sente parlare di etica, gli viene la pelle d’oca. Come quando gli parlano di esoterismo. Ma Aristide di niente si rammarica, anzi è orgoglioso di avere sfidato l’ira pedrettesca, e quel che potrebbe seguirne, nonché i propositi di vendetta che qualche ascaro fa baluginare all’orizzonte. Questo ha fatto in piena coscienza, e questo non dubiterebbe di ritornare a fare, quando se ne presentasse l’occasione, non in nome di un’etica astratta e professorale, buona per le conferenze, i convegni e i seminari che determinano inesorabilmente l’aumento dell’entropia dell’Universo senza che se ne estragga alcun “lavoro” utile, ma per una questione di principio, per fedeltà a una scelta di civiltà compiuta nella prima giovinezza. Si potrebbe anche dire, compendiariamente: per non morire idiota.

 

Gli scarti della storia come ultima speranza

Ma anche se il Pedretti e il Trota ce la faranno, piace pensare che la storia ha i suoi scarti, piace considerare che il fattore umano è stato più di una volta risolutivo, quanto imprevisto. Per esempio, nell’aprile del ’68, chi avrebbe detto che Parigi sarebbe stata il teatro del “Maggio ’68”? Perciò abbiamo proposto la visione di un brano tratto dal film “Il grande dittatore” di Chaplin. Avviene nel film che il piccolo barbiere ebreo impersonato da Chaplin sia scambiato per il dittatore Hynkel, quindi è invitato a salire sul palco, dove tutti si aspettano uno dei soliti discorsi del dittatore, più che truculenti. Ma questo che sentiamo non è il solito discorso: è invece una difesa appassionata della pace e della fratellanza universale. Avevo diciassette anni quando vidi questo film: ricordo che era un venerdì, perché per andarlo a vedere rubai due ore alla traduzione dell’Edipo re, di Sofocle, al quale era dedicata l’ora di greco del sabato. In particolare, mi rimasero impresse – ricordo perfettamente – queste parole: «Voi avete l’amore dell’umanità nel cuore. Voi, non odiate! Coloro che odiano sono quelli che non hanno l’amore altrui. Soldati! Non difendete la schiavitù, ma la libertà! Ricordate, nel Vangelo di S. Luca è scritto: “Il Regno di Dio è nel cuore dell’uomo”. Non di un solo uomo o di un gruppo di uomini, ma di tutti gli uomini». A voi, curnensi, la conclusione. Valete.

 

 

PS - Aggiungo questa postilla per doverosa cautela. Onorevole Pedretti, respiri forte, non si faccia venire il sangue agli occhi. Non si precipiti a sporgere una nuova querela. Calma e gesso: ragioni, piuttosto. Qui non sto affermando che lei è Hitler, il quale fra l’altro – come ebbe a dire Moravia – è stato un personaggio tragico. Così come non ho mai affermato che lei sarebbe da mettere sullo stesso piano del dottor Mengele (cfr. Pedretteide, pp. 62-67). Insomma, mi risparmi la fatica di scrivere la confutazione di una nuova accusa senza fondamento.